Due anni dopo l’acuirsi degli effetti del movimento europeista di Piazza Indipendenza a Kiev, con tutti i risvolti politici e militari assunti dalla faccenda, oggi la “Terra di Confine” sembra aver perso quell’appeal mediatico che, all’apice della crisi diplomatica tra l’Occidente e la Russia, aveva conquistato le luci della ribalta. I media hanno deviato la loro attenzione su una zona di crisi più calda ed interessante rispetto alle fredde lande post-sovietiche dove ancora si continua a sparare, e dove la popolazione si trova a vivere dei medesimi stenti che la caduta dell’Urss aveva portato con sé.
Anche la politica, nelle stanze presidenziali, ha intrapreso un percorso che di modello di democrazia occidentale sembra avere molto poco. Con la formazione del primo governo Yatseniuk è stato istituito in Ucraina il Ministero delle politiche di Informazione, ridefinito esattamente come Ministero dell’anti-propaganda – che, di per sé, è sempre propaganda -, i cui obiettivi principali sono proprio il controllo e il filtraggio delle campagne mediatiche russe sulle questioni legata alla Crimea e al Donbass.
Il 23 febbraio 2016 tale dicastero ha lanciato un progetto mediatico che è stato rinominato “Krym – eto Ukraina” (La Crimea è Ucraina”). Il progetto è finalizzato alla sensibilizzazione mediatica e la formazione di una posizione civica in Ucraina sul concetto di appartenenza della Crimea. Inoltre, come si legge dalle fonti dello stesso Ministero, serve a rendere nota la posizione di quei cittadini ucraini che si trovano in condizione di sofferenza sotto l’occupazione repressiva della Russia. Tale riferimento è spiccatamente indirizzato alla posizione dell’etnia tatara, primo abitante della Penisola sin dai tempi dell’impero ottomano. La culminazione di questa strategia di soft power è stata rilanciata e consolidata con la vittoria della cantante Jamala (già Susána Alímivna Džamaladínova, di etnia tatara) al contest canoro Eurovision con una canzone che tratta della deportazione del popolo tataro in Uzbekistan operata da Stalin nel 1944. L’intento politico è stato confermato dalla stessa, e supportato dal governo centrale di Kiev che ha rilanciato il tema della Crimea per ottenere un inasprimento delle sanzioni contro la Federazione Russa.
Evidentemente, tale piano non ha riscosso gli effetti auspicati: secondo un sondaggio condotto dallo stesso Ministero dell’Informazione ucraino, il 47% dei cittadini ucraini non vorrebbe che la Crimea tornasse a far parte della Repubblica Ucraina. Per ammissione dello stesso Vice Ministro con delega alla Crimea, Emine Dzheppar, risulterebbe dunque imbarazzante chiedere il soccorso della comunità internazionale a proposito di una questione che neanche il popolo ucraino in primis avverte come essenziale. Nel contempo, come si legge in un comunicato diffuso ripreso da RIA Novosti, i Tatari di Crimea accusano Kiev di aver sempre ostacolato la riabilitazione storica e sociale del popolo tataro nella penisola, e che il risultato delle politiche portate avanti in 25 anni di stato Ucraino è stato quello di inasprire le divisioni all’interno della comunità stessa. Tale comunicato, inoltre, riferisce della presenza di un centinaio di persone pronte a costituire un “battaglione tataro” sul quale la presidenza di Kiev ha sempre mostrato diffidenza, sostenendo la presenza di un sostegno economico e militare da parte della Turchia al Mejlis di Crimea, incentivando piuttosto l’arruolamento dei cittadini della penisola nei battaglioni precostituiti che hanno combattuto a fianco dell’esercito regolare contro i ribelli filo-russi.
Dunque la carta giocata da Kiev, sulla quale Poroshenko ha rilanciato con la promessa di una modifica costituzionale per riconoscere “l’inalienabile diritto di autodeterminazione in capo ai Tatari di Crimea, riconoscendo pari diritti a tutte le minoranze etniche che abitano la regione”, ha una finalità meramente politica per il rimpallo della questione a Bruxelles che, nel frattempo, ha approvato una risoluzione che esorta l’Unione Europea ad ampliare la lista di persone fisiche e giuridiche soggette alle sanzioni post-referendum con l’inserimento dei membri del tribunale russo che il 26 aprile scorso ha interdetto le funzioni del Mejlis del popolo dei Tatari di Crimea dalla Federazione Russa, in quanto questa organizzazione sospettata di condurre azioni con finalità terroriste finanziate da potenze straniere.