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565 miliardi di dollari, secondo il primo ministro ucraino Denys Shmyhal e il ministro dell’Economia Yulia Svyrydenko: il costo della ricostruzione dell’Ucraina post-bellica potrebbe superare qualsiasi sfida posta di fronte alla comunità internazionale per problematiche di questo genere dai tempi del Piano Marshall ad oggi.

La conta dei danni

La politologa Ilya Timtchenko sul sito del’Atlantic Council ha perorato la necessità di un fondo di almeno 100 miliardi di dollari per far ripartire l’economia ucraina e sanare i danni di guerra. Quando si arriverà al termine di un conflitto che ad oggi non sembra avere via d’uscita di breve periodo Kiev si troverà di fronte alla necessità di affrontare uno sforzo titanico per rimettere in piedi il Paese, con un conto che per la Timtchenko potrebbe lievitare fino a un trilione di dollari a guerra finita: cinque volte il Pil dell’Ucraina pre-Maidan. Ci saranno da rimettere in sesto edifici, scuole, infrastrutture, industrie. Come riportato da Money.it, dal 24 febbraio scorso giorno in cui ha preso il via l’invasione da parte della Russia, sono stati distrutti circa 8.000 chilometri di strade e 10 milioni metri quadrati di abitazioni.

Se da un lato ad oggi le ipotesi più radicali del governo ucraino non sono ancora state materialmente raggiunte, dall’altro il conto comincia a farsi salato. Le stime del governo ucraino riportate in apertura erano quelle legate all’ipotesi di un proseguimento continuativo del conflitto; più di recente hanno iniziato ad emergere stime più pragmatiche sui danni rilevati a edifici e infrastrutture nei primi quarantacinque giorni di guerra. E il dato è decisamente sconfortante.

Per la Kyiv School of Economics, un cui studio è stato analizzato dall’Economist, i danni ad oggi provocati dall’invasione russa ammonterebbero a 68 miliardi di dollari nell’intervallo 24 febbraio-1 aprile. La metà di essi sarebbe riconducibile all’infrastruttura fisica: ponti, porti, ferrovie e, soprattutto, strade (solo per esse 28 miliardi di dollari di danni), poco meno di 20 miliardi agli edifici civili, circa 5 alle fabbriche e agli impianti industriali e 7-7,5 ai danni agli aeroporti.

Parlando col Peterson Institute for International Economics Oleg Ustenko, consigliere economico del presidente Volodymir Zelensky, ha dichiarato invece che a suo avviso la quota dei 100 miliardi di danni è già stata superata e tale ipotesi ha visto il sostegno da parte dell’Undp, l’agenzia Onu per lo sviluppo.

Certo, i danni fisici e infrastrutturali sono devastanti e difficili da riparare. Ma per l’Ucraina la sfida più grande sarà dare un futuro alle città. Kiev, Kharkiv, Mariupol, Kherson hanno subito con gradienti diversi danni materiali e sociali difficili da riparare: le città che non sono state distrutte hanno subito il costo della fuga di buona parte della popolazione e del panico, e per un Paese come l’Ucraina avente i due terzi della popolazione urbanizzata la ferita sarà difficile da rimarginare. Vediamo come è la situazione, a un mese e mezzo dall’inizio del conflitto, nelle quattro città maggiormente colpite finora dalla guerra: la capitale Kiev, la città più importante dell’Est, Kharkiv, il primo centro di grande importanza espugnato dai russi, Kherson, e l’epicentro dei combattimenti più furiosi, Mariupol.

Kiev, la capitale ferita

Il 2 aprile scorso il ritiro russo ha consentito agli ucraini di vincere definitivamente la battaglia di Kiev, entrando nelle cittadine occupate da Mosca nelle fasi iniziali del conflitto e scongiurando la minaccia di un assedio alla capitale e cuore pulsante del Paese e della cultura ucraina.

La resistenza ucraina è risultata in grado di fermare il blitz di Mosca nelle prime ore della guerra e ora mentre il cuore del Paese ucraino torna a pulsare e Zelensky prova a far tornare alla normalità la città amministrata dall’icona nazionale ed ex pugile Vitlay Klitcho, Kiev si lecca le ferite. Il Kyiv Independent ha stimato la distruzione di 87 edifici di importanza per la vita civile della città nel primo mese di guerra. L’Ukraine Pravda ha invece sottolineato come il governo centrale e l’amministrazione cittadina abbiano messo in campo una task force volta a stimare con maggiore precisione i danni dopo la rottura dell’assedio.

Mappa di Alberto Bellotto

Republic World ha riportato le stime del team assoldato da Kiev per stabilire i danni nella capitale: sarebbero stati distrutti 154 edifici residenziali, 44 scuole, 27 asili. Inoltre, sarebbero stati danneggiati dai russi 279 tra ospedali e centri medici e ne sarebbero stati completamente distrutti 19. Lo riporta Ukrinform citando il ministro della Salute ucraino Viktor Lyashko. “Durante la guerra, 279 ospedali sono stati danneggiati, 19 sono stati completamente distrutti. 20 operatori sanitari sono rimasti gravemente feriti, 6 sono stati uccisi. Ma i nostri medici non si arrendono, salvano vite ogni giorno”, ha detto Lyashko.

La somma di edifici distrutti, 244, si avvicina a quella dichiarata da Klitchko inn un’intervista al quotidiano austriaco Die Presse in cui il primo cittadino ha fatto il punto sui danni alla capitale. “300 edifici sono stati distrutti. Sono stati bombardati anche asili nido e scuole. Più di 1.000 persone sono state ricoverate in ospedale, inclusi 18 bambini gravemente feriti. Quasi 300 persone sono morte, inclusi molti bambini”, ha aggiunto. Per Kiev il danno più grave è il fatto che metà della popolazione da quasi 3 milioni di abitantiabbia lasciato la città. Immaginiamo che effetto potrebbe avere su Roma, che ha un numero di abitanti paragonabile a quello di Kiev, l’uscita di un numero di persone pari all’intera popolazione di Milano: ciò causerebbe un danno materiale superiore a qualsiasi devastazione fisica. E proprio il ritorno del capitale umano nel principale centro politico e economico dell’Ucraina sarà la grande sfida per l’avvenire.

Kharkiv, una città in rovine

Paragonabile a Milano come popolazione, circa un milione e mezzo di abitanti, è invece Kharkiv, seconda città dell’Ucraina e già città più volte martire nel Novecento. Secolo in cui è stata la “capitale della fame” dell’Holodomor, la grande carestia ucraina dell’era staliniana, per essere poi contesa in ben quattro battaglie tra Germania nazista e Unione Sovietica tra il 1941 e il 1944. Per la sesta volta l’assedio russo del 2022 ha riportato la città dell’Est ucraino al centro della storia. E rispetto a Kiev l’ex capitale ucraina dell’era sovietica è stata colpita in maniera molto più violenta.

Sarebbero almeno 600 gli edifici distrutti durante il primo mese e mezzo dell’offensiva russa attorno Kharkiv, colpita duramente fin dalle prime ore del 24 febbraio. Ihor Terekhov, sindaco di Kharkiv, continua a sottolineare questo dato che renderebbe almeno doppi i danni rispetto a quelli subiti da Kiev. Kharkiv, dalle immagini satellitari e dai video ritrovati sui social, appare come una città in rovina, profondamente bombardata. E per Terekhov sarebbero almeno 500 i civili uccisi.

Tatiana Yehorova-Lutsenko, presidente del Consiglio dell’Oblast di Kharkiv, ha sottolineato che tra metà e i due terzi dei 2,6 milioni di persone residenti nella regione è scappata verso Ovest, da Kharkiv e dintorni verso Dnipro, Poltava, Leopoli o la Polonia. Nel Nord vero dramma anche a Cherniv, che ha vissuto condizioni simili a Kharkiv. Circa 700 persone, tra militari e civili, sono morte nella città ucraina di Chernihiv dall’inizio dell’invasione russa. Lo ha reso noto il sindaco Vladislav Atroshenko, secondo quanto riporta l’agenzia Unian. Il sindaco ha poi riferito che dei 300 mila abitanti della città prima del conflitto, i due terzi sono fuggiti. Una tragedia umanitaria che, come accade nei casi di Kherson e Mariupol, pone un problema fondamentale: dove andranno queste persone se a fine conflitto parte della regione rimanesse sotto controllo russo?

Kherson e Mykolaiv, assedio e annessione?

Kherson è stata espugnata a inizio marzo dalle forze russe avanzanti dalla Crimea. La città popolata da un’imponente quota di cittadini russofoni è da oltre un mese in mano alle truppe di Vladimir Putin. Ihor Kolykhayev, che amministra la città sul Mar Nero dalla popolazione paragonabile a quella di centri come Verona o Catania (280mila abitanti) ha parlato di una settantina di edifici distrutti. In questo caso, la partita principale è quella che si apre sul futuro della città. Mosca procederà a integrare la regione o vi creerà delle repubbliche fantoccio come Donetsk e Lugansk? O la controffensiva ucraina arriverà fin qui?

Chi sta sperimentando tutti i danni dello stallo è Mykolaiv, cittadina vicina Kherson e “porta” che i russi intendono sfondare per arrivare a Odessa. Mykolaiv, come abbiamo documentato in queste settimane, è devastata dall’assedio russo, colpita da missili, trasformata in una vera e propria trincea dagli ucraini e potrebbe rientrare nel novero delel città che vecchi o nuovi occupanti dovranno ricostruire ex novo. Mai quanto la più grande vittima della guerra: Mariupol.

Mariupol non esiste più

Il 90% della città è distrutta e Mariupol, pur essendo di fatto già in mano russa, è ancora un campo di battaglia tra le forze di Mosca e le residue sacche di resistenza del Battaglione Azov, asseragliati in periferia e nelle zone del porto, che paralizzano la disponibilità russa della città. Edifici crollati, macerie nelle strade e auto distrutte a causa dei bombardamenti russi si accompagnano a edifici assediati piano per piano, minati dai difensori, trasformati in trincee. Mariupol è la città del teatro e dell’ospedale pediatrico sul cui bombardamento si sono concentrate le accuse incrociate tra le due parti in conflitto . La milizia della Repubblica popolare di Donetsk accusa gli ucraini della distruzione della città, ma è una voluta esagerazione. Mariupol è Aleppo in Europa, una città rasa al suolo.

“È stato distrutto oltre il 90% della citta ucraina di Mariupol che è sotto l’assedio delle forze russe da oltre un mese e almeno il 40% non è più recuperabile”: Lo ha affermato il sindaco della città, Vadim Boychenko, rinnovando anche l’appello per sanzioni più dure contro la Russia e il riconoscimento di crimini di guerra da parte delle istituzioni internazionali.

Anche il Washington Post ha dedicato un’ampia galleria di foto alla città-martire sul Mar d’Azov, epicentro dell’invasione. A Mariupol, città portuale di oltre mezzo milione di abitanti, una vera e propria Genova dell’Est Ucraina, rivivono Aleppo e Sarajevo, contesti in cui il dramma umano tocca la vetta dell’abiezione e in cui per il dopo guerra il tema principale è capire non tanto se si tornerà a una vita normale, quanto piuttosto se davanti a scene di tale devastazione una normalità sarà ancora possibile. Quanti danni ancora dovranno essere contati? E soprattutto, chi pagerà per tutto questo?

Chi pagherà la ricostruzione?

Stando cauti, la somma tra i 70-100 miliardi di dollari di danni già subiti dall’Ucraina e i 20-30 miliardi stimati anteguerra per la ricostruzione del Donbass devastato da otto anni di conflitto lascia presagire un conto salato, tra i 90 e i 130 miliardi di dollari, uno sforzo che un’Ucraina impoverita, senza sbocco ai commerci, in bolletta e probabilmente amputata territorialmente non potrebbe permettersi da sola. Già appariva in prospettiva pre guerra il il piano Drive Ukraine 2030, pensato con l’obiettivo di potenziare e ammodernare la dotazione infrastrutturale del Paese e che secondo Zelensky doveva mobilitare 60 miliardi di dollari in investimenti infrastrutturali nel decennio 2020-2030. Figurarsi ora che le disponibilità si sono azzerate e la guerra ha imposto un nuovo dramma.

L’Ucraina può essere messa in condizioni di pagare il conto salato della guerra a due condizioni: che in parte il costo sia sobbarcato, direttamente o meno, dalla Russia e che l’Occidente promuova un vero “Piano Marshall” per ricostruire il Paese. Sul primo fronte le vie sono molteplici: si potrebbe pensare a congelare i beni dei russi confiscati all’estero per spingere Mosca a coprire in cambio la ricostruzione, o a sanzioni che “tassino” i beni esportati dal Paese, oppure ancora a promuovere concordati in tal senso. Sul secondo serve una vera volontà politica: un’Uucraina distrutta sarà un’Ucraina instabile, una mina umanitaria e una ferita nel cuore d’Europa. Sanguinante da quarantacinque giorni e destinata a rimanere esposta ancora a lungo di fronte al Vecchio Continente.

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