Nel primo pomeriggio del 19 settembre, a seguito di un doppio incidente che ha provocato la morte di sei cittadini azerbaigiani, Baku ha avviato un’operazione militare, ufficialmente a scopo antiterroristico, per neutralizzare le infrastrutture militari dei separatisti filoarmeni stanziati nel Karabakh.
L’operazione speciale delle forze armate azerbaigiane è la conclusione, per molti versi prevedibile e da altrettanti prevista, di una stagione contrassegnata da escalation lungo i punti di contatto che separano le porzioni di Karabakh sotto la sovranità di Baku e quelle sotto il controllo dei separatisti che hanno insediato il loro quartier generale a Stepanakert.
Rischi relativi all’allargamento dei combattimenti dall’entroterra azerbaigiano all’Armenia esistono, ma sono bassi, ed è improbabile che scoppi una terza guerra del Karabakh.
Le origini dei combattimenti
Nel primo pomeriggio del 19 settembre, dopo mesi di negoziati intervallati da tensioni, dietrofront, stalli e avanzamenti, le forze armate dell’Azerbaigian hanno iniziato un’operazione militare di natura antiterroristica nei territori del Karabakh che continuano a essere occupati dai separatisti filoarmeni.
A provocare l’avvio delle attività belliche, secondo la versione di Baku, è stata la morte di sei cittadini azerbaigiani nell’arco di poche ore, in due incidenti separati, entrambi avvenuti nel Xocavənd, coinvolgenti mine antiuomo.
I sei decessi, gli ultimi di una lunga scia di sangue che dal dopoguerra a oggi ha lasciato a terra 253 persone – tutte decedute calpestando mine antiuomo piazzate dai separatisti sia nel passato più remoto, ad esempio durante la guerra degli anni Novanta, sia in tempi recenti –, hanno convinto la presidenza ad agire per evitare ulteriori morti innocenti.
Gli obiettivi dell’operazione, stando ai comunicati ufficiali prodotti dagli organi governativi di Baku, “sono esclusivamente le formazioni militari e le infrastrutture militari illegali” possedute dai separatisti filoarmeni nel Karabakh. Al fine di evitare il coinvolgimento di civili, che le forze armate azerbaigiane hanno avvertito preventivamente dell’inizio dell’operazione, Baku ha sottolineato che farà ricorso ad “armi ad alta precisione” per “incapacitare” le “strutture militari e gli assetti per il combattimento” nelle disponibilità dei separatisti.
Non sarà guerra
L’Armenia ha negato di essere dietro la campagna di attacchi, così come ha negato di avere militari nel territorio karabakho, dichiarando sin dall’avvio dell’operazione dell’Azerbaigian di non avere intenzione di interferire.
Sebbene il rischio di un’estensione delle ostilità dal territorio azerbaigiano all’Armenia esista, perché il governo Pashinyan potrebbe avere ripensamenti sulla linea della non ingerenza, esso è relativamente basso. Non soltanto le forze armate armene non hanno le capacità di sostenere un conflitto convenzionale su larga scala con Baku, ma la fragile economia di Erevan non permette avventure belliche e i passi falsi di Pashinyan gli hanno alienato il consenso presso Mosca e all’interno dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva.
A meno di sorprese, come un cambio di rotta imposto dalle ale gingoiste della Difesa, dal fattore opinione pubblica o da un colpo di stato, Erevan non dovrebbe entrare nello scontro tra Baku e le ultime fortezze del separatismo filoarmeno nel Karabakh. Facilitando il raggiungimento degli obiettivi militari dell’operazione lanciata dalla presidenza Aliyev e, forse, a meno di sorprese, favorendo il processo negoziale tra Erevan e Baku, il cui destino è sempre ruotato attorno al Karabakh.