Nel corso del suo anno di governo Naftali Bennett non è certamente stato un amico dell’Iran, ma ha sempre preferito colpire la Repubblica Islamica e i suoi proxy mediorientali in forma più mirata rispetto a quanto accaduto negli anni di Benjamin Netanyahu. La “guerra-ombra” di Israele all’Iran è stata condotta, negli ultimi dodici mesi, principalmente con operazioni coperte e di intelligence. Si voleva in questo modo attuare il contenimento sul campo di Teheran pensando, però, in primo luogo al fronte politico del confronto, che Bennett ha assieme al suo governo di larga coalizione e al Ministro degli Esteri Yari Lapid promosso grazie a una diplomazia globale e a tutto campo, rivolta principalmente verso i Paesi arabi.
Nelle settimane in cui il governo Bennett si avviava alla caduta, però, l’escalation negli scontri è ripresa. Da un lato, l’avvicinamento a nuove elezioni impone ai partiti di iriprendere la loro postura originaria e Yamina, la forza di Bennett, si è sempre distinta per un forte piglio anti-iraniano; dall’altro, la prospettiva di un ritorno al governo di Benjamin Netanyahu, sempre meno remota in caso di ritorno di Tel Aviv alle urne, ha sicuramente incentivato i falchi nello Stato ebraico. E così in poche settimane Israele ha organizzato un bilaterale con l’Arabia Saudita a Doha per parlare di una mossa senza precedenti, l’organizzazione di una difesa comune contro l’Iran; ha ripreso, secondo diverse indiscrezioni mediatiche, gli omicidi mirati degli scienziati nucleari iraniani non più in forma spettacolare come avvenuta con l’attacco al “padre del nucleare iraniano”, Mohsen Fakhrizadeh, secondo il New York Times ucciso con una mitragliatrice montata su un camioncino e controllata da remoto con l’intelligenza artificiale, ma attraverso l’avvelenamento del cibo dell’ingegnere Ayoob Entezari e del geologo Kamran Aghamolaei. Ma non finisce qui.
A riprendere, in forma sostenuta, anche le operazioni coperte in Siria per evitare l’arrivo di equipaggiamento militare iraniano in sostegno a Hezbollah e agli altri gruppi militari sciiti. Parliamo di una guerra non dichiarata che vede da tempo Tel Aviv impegnata in un braccio di ferro duro e sfiancante con Teheran; il governo Bennett ha anche minacciato di affondare ogni nave diretta dall’Iran in Siria e sospettata per il trasporto di armi. Si è alzato anche lo scontro retorico, con Israele che ha annunciato di aver sventato, assieme ai servizi segreti locali, degli attentati preparati dall’Iran in Turchia contro suoi cittadini. Può essere fatto rientrare in questo filone, per intuizione, anche il misterioso episodio dell’omicidio del comandante d’alto rango delle Guardie della Rivoluzione, Sayyad Khodaei, ucciso alcune settimane fa a Teheran.
La torsione securitaria di Bennett nelle fasi finali del suo governo è notevole e mostra il peso politico di una rivoluzione interrotta: manca spazio per lo smart power e ritorna l’Israele “Stato-fortezza” impegnato a menare fendenti, aumentando il peso di un’escalation che già in passato ha messo in difficoltà l’intero scenario mediorientale. “Mettetevi contro Israele e pagherete un duro prezzo”, ha recentemente ammonito Bennett, poco dopo un fatto che è parso l’apogeo della nuova fase della guerra ombra tra Tel Aviv e Teheran.
Nella giornata del 27 giugno, infatti, la Khuzestan Steel Company, società a partecipazione pubblica che gestisce una delle principali acciaierie iraniane e ha la sua sede ad Ahvaz, nella provincia sudoccidentale del Khuzestan, ha denunciato un attacco cyber contro i suoi impianti. La Ksc, una dei tre oligopolisti del mercato nazionale dell’acciaio, ha affermato di aver dovuto sospendere la produzione “a causa di problemi tecnici” dovuti ad “attacchi informatici”. L’amministrazione delegato dell’azienda, Amin Ebrahimi, riporta Agenzia Nova, “ha affermato che Khuzestan Steel è riuscita a contrastare l’attacco informatico e prevenire danni strutturali alle linee di produzione limitando l’impatto sulle catene di approvvigionamento e sui clienti”. Resta tuttavia il dato della vulnerabilità cybernetica di Teheran, Paese che ha nell’acciaio un settore vitale per la sua economia, risultando tra i primi dieci produttori al mondo e tra i fornitori di Stati come Cina, Emirati Arabi e anche Italia.
Il giorno successivo, parlando alla Cyber Week di Gerusalemme, Bennett è sembrato voler gettare benzina sul fuoco. “Possiamo colpire il nostro nemico attraverso la dimensione cyber. Prima dovevamo inviare 50-100 commando dietro le linee nemiche con enormi rischi”, ha dichiarato. Ora, ha aggiunto, “riuniamo insieme un gruppo di persone intelligenti sedute a una tastiera e otteniamo lo stesso effetto”. E’ inevitabile, ha proseguito Bennett, “che il cyber diventi una, se non la più importante dimensione della guerra futura”. Con compiacimento, prima di minacciare l’Iran in caso di contromosse, Bennett ha voluto mettere un punto ben preciso, segno del rilancio di una contrapposizione destinata a cambiare, una volta di più, il Medio Oriente nei prossimi mesi. In una partita destinata a coinvolgere anche i Paesi del Golfo con cui Israele stringe sempre di più e a aumentare il senso di assedio di Teheran in una fase vitale per la ripresa dei colloqui sul nucleare. Al cui condizionamento, evidentemente, Israele mira in forma decisa. Un Iran debole è una garanzia di sicurezza per Israele. Ma le conseguenze sulla stabilità regionale già minata da conflitti congelati o a bassa intensità possono essere imprevedibili.