Nessuna pace fra Israele e Gaza nel prossimo futuro: sicuramente non nel prossimo decennio. Suonano come un avvertimento importante le parole del nuovo comandante del Comando meridionale israeliano, il maggiore Hertzi Halevi. Secondo il capo delle Israel defense forces per il settore meridionale, Israele conosce perfettamente i rischi del confine con la Striscia di Gaza, ma “Hamas ci metterà alla prova di tanto in tanto, e secondo me, non credo che assisteremo a una completa calma durante il prossimo decennio”.
Questo però non significa che è prossima un’offensiva militare. Halevi ritiene improbabile lo scenario di una guerra che, a suo dire, non avrebbe conseguenze positive sulla sicurezza di Israele. Le Idf sono state molto vicine a questa possibilità, soprattutto quest’estate.
Ma una guerra con la Striscia di Gaza con un’operazione bellica su vasta scala non pare essere nei piani di Israele. Anzi, la guerra potrebbe anche peggiorare la situazione. E questo confermerebbe quanto già scritto su questa testata riguardo ai pericoli in cui incorrerebbero le forze di terra israeliane in caso di invasione della Striscia. Come ricordato da alcuni analisti, le truppe di terra non sono pronte ad entrare a Gaza e le ultime operazioni contro l’enclave palestinese e in particolare contro Hamas ne sono la dimostrazione.
Se le parole di Halevi sembrano escludere un conflitto aperto, almeno a livello di invasione, dall’altro lato sono invece importanti per capire come si evolverà la dinamica del conflitto israelo-palestinese. Esclusa, a meno di gravi incidenti o cambi di programma, la pista dell’occupazione, l’idea delle Idf è quella di blindare il confine. Il comandante israeliano infatti non parla di una strategia offensiva ma difensiva. La più grande minaccia per Israele, dice Halevi, sarebbe “l’ingresso di una forza nemica, sotto terra o in mare o in qualsiasi altro modo, senza che noi possiamo impedirlo”.
Ed ecco che da queste parole si può comprendere come il Comando meridionale si comporterà nei prossimi mesi, se non anni nei confronti di Gaza. Un modus operandi iniziato già negli scorsi anni e che continuerà, probabilmente, negli anni a venire. La strategia delle forze dello Stato ebraico è molto chiara e si dirama in due direttrici: distruzione di tutti i tunnel che collegano Gaza all’esterno e costruzione di una duplice barriera, terrestre e marina, che circondi la Striscia. In sostanza, se Israele non vuole invadere l’enclave palestinese, di fatto la vuole rendere totalmente incapace di avere contatti con i vicini.
Dall’altro lato, Halevi ha parlato di qualsiasi minaccia proveniente da terra, mare e cielo, quindi ha di nuovo puntato il dito sul problema missili, che è da sempre oggetto di inquietudine da arte israeliana. Iron Dome è stato recentemente potenziato e un sistema identico è stato portato anche in mare per tutelare le piattaforme off-shore.
Ma questo significa soprattutto che Israele non vuole correre rischi per i suoi interessi economici. È dal gas che passa gran parte dei suoi interessi e delle sue strategie regionali per il prossimo futuro. E una volta chiusa Gaza via terra, il cuore del suo problema sono gli interessi sui giacimenti del Mediterraneo orientale.
Ed è proprio dal Mediterraneo orientale che il vertice militare israeliano “tende la mano” agli abitanti di Gaza. Halevi ha infatti detto di essere favorevole all’apertura di un porto, per la Striscia, in modo da allentare le tensioni con l’enclave palestinese. Un’apertura che contrasta con le ultime decisioni del governo di Benjamin Netanyahu, che anzi ha rafforzato il blocco navale nei confronti dei palestinesi e colpito le barche che tentavano di forzare il blocco.
Per la Striscia di Gaza – chiusa via terra da Israele – è evidente che l’accesso al mare diventa prioritario. Ma se Israele considera il mare una via di Hamas per colpirlo, è evidente che i palestinesi considerino quello specchio d’acqua fondamentale per la propria sopravvivenza. Queste due visioni completamente opposte hanno reso impossibile, fino ad ora, fermare il blocco navale. Ma è evidente che lo Stato israeliano dovrà fare, in questo senso, delle concessioni se non vuole che Gaza arrivi al collasso. E i recenti dati delle organizzazioni internazionali confermano la situazione drammatica per buona parte della popolazione palestinese.