L’incubo per gli abitanti di Sweida non è ancora terminato. Dopo l’attacco del 25 luglio scorso, che ha strappato la vita a più di 200 persone, l’Isis ha rapito donne e bambini. L’esplosione, il fuoco e il fumo. Poi la corsa per trovare i più deboli e portarli via, per usarli come moneta di scambio.
I terroristi sarebbero scappati verso est e qui avrebbero scattato le foto ai prigionieri. Le donne hanno tutte i capelli coperti da un velo e alle loro spalle la bandiera nera del Califfato. Hanno gli occhi persi, immobili e sembrano guardare nel vuoto. Queste immagini sono state diffuse dai miliziani dell’Isis. Sono state mandate ai parenti delle prigioniere con un messaggio chiaro: pagate un riscatto oppure le bruceremo vive. Secondo quanto riporta Al Masdar, il governo di Damasco starebbe cercando di trattare per la loro liberazione.
I miliziani, non contenti, hanno deciso di realizzare anche dei video in cui sono le donne a parlare e a dettare le condizioni dell’Isis: l’esercito siriano dovrà fermare la campagna militare nella provincia di Daraa e dovrà liberare tutti i terroristi imprigionati. “Se queste richieste non verranno accettate – dice una donna – ci ammazzeranno”.
Secondo quanto riporta l’agenzia LaPresse, che cita l’Osservatorio siriano per i diritti umani, l’Isis avrebbe rapito 14 donne (“quattro donne sono riuscite a fuggire e due sono morte”) e 16 bambini, tutti appartenenti alla minoranza drusa. Altri 17 uomini sono ancora dispersi, ma non è ancora chiaro il loro destino.
I territori dell’Isis a sud
Da quando è iniziata la battaglia di Daraa, i territori controllati dall’Isis a sud del Paese sono andati via via sparendo. Attualmente i terroristi controllano solamente le aree più a sud e il confine con Israele è tornato in mano ai governativi.
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Ai jihadisti è rimasto solamente un piccolo lembo di terra che continua ad esser pesantemente bombardato dai caccia russi e governativi. Questa operazione militare è stata fondamentale perché ha dato ad Assad la possibilità di tornare in possesso dei confini a sud del Paese e ha dato un colpo mortale alla rivolta iniziata proprio nel 2011 a Daraa.