È passato poco più di un mese dalle elezioni legislative in Iraq, come da pronostico il governo ancora non si è formato ma non mancano spunti importanti per il futuro della politica irachena e per comprendere le prossime evoluzioni che riguarderanno l’esecutivo di Baghdad. Come ben si sa, a vincere le elezioni è stata la lista formata da Moqtada Al Sadr assieme al Partito Comunista: questa alleanza ha conquistato la maggioranza relativa dei seggi nel nuovo parlamento. Subito dietro, la lista filo iraniana sciita denominata Al Fatah, la quale comprende le milizie che hanno combattuto lo Stato Islamico. Solo terza la coalizione del premier uscente Al Abadi, altra formazione sciita ma considerata più moderata.

L’annuncio a sorpresa di Al Sadr: sì all’alleanza con Fatah

Come da pronostico, sono dunque state le liste sciite ad avere la meglio. Del resto, il paese è composto per quasi due terzi da cittadini di confessione sciita, i quali prevalgono dunque sulla componente sunnita e curda e sulle altre minoranze. Sul piano politico però, gli sciiti si sono presentati a queste elezioni divisi: Al Sadr ha intrapreso un percorso volto a non rendere più settaria la propria lista con un programma che prevede l’affrancamento da Usa ed Iran, Al Fatah al contrario invece appare legata a doppio filo a Teheran, Al Abadi invece è il volto più moderato della galassia sciita, fautore della politica dell’equidistanza tra Iran e Stati Uniti.

Per tal motivo, ha suscitato scalpore lo scorso 12 giugno l’annuncio di Al Sadr in cui il leader sciita si è detto favorevole all’alleanza con Fatah. Le due liste venivano date agli antipodi alla vigilia delle elezioni, sia per la distanza sulla politica estera che su quella interna visto che Fatah appare una coalizione dove l’elemento sciita è maggiormente rimarcato. I due leader hanno trovato l’accordo: Al Sadr da un lato ed Hadi Al Ameri dall’altro hanno dato il via libera alla nascita di una clamorosa alleanza.

I due partiti insieme hanno 101 seggi su 329 totali del parlamento iracheno, dunque 64 in meno della maggioranza assoluta. La nuova coalizione sciita dovrà quindi cercare altre sponde in seno al nuovo organo legislativo di Baghdad.

L’appoggio dei due partiti curdi

In una nota diffusa dalla tv del Kurdistan iracheno Rudaw, i due principali partiti curdi hanno dato il benestare alla nascita della nuova alleanza sciita: “Salutiamo con favore – si legge nel comunicato congiunto del Partito dell’Unione Patriottica del Kurdistan (Puk) e del Partito Democratico del Kurdistan (Pdk) – la nascita di questa nuova alleanza. Sembrano esserci le carte in regola per superare l’impasse politico ed arrivare alla nascita di un nuovo governo”.

Ben dunque si comprende, tra le righe, come sia il Puk che il Pdk sembrino pronti entrambi a siglare un’alleanza con i due principali partiti sciiti e ad entrare nel futuro governo. Un concetto questo che è stato poi esplicitato nella parte finale della nota sopra citata: “Sicuramente il Puk e il Pdk raggiungeranno una posizione comune – si legge infatti – E formeranno al più presto una delegazione negoziale congiunta”. Con i due partiti curdi, l’eventuale nuovo governo arriverebbe ad avere 144 seggi su 329, 24 in meno dunque della maggioranza assoluta. Serve quindi l’ingresso di almeno un’altra formazione.

Il nodo del nome del futuro premier in Iraq: Al Abadi torna in gioco?

Non solo i numeri da trovare tra le altre liste che hanno ottenuto seggi in parlamento, ma anche la designazione di un nuovo primo ministro: sono questi i principali nodi da sciogliere per l’alleanza tra i due partiti sciiti. Nessuno dei due leader può fare il premier: Al Sadr non era candidato in prima persona e non è dunque parlamentare, Al Ameri risulta essere troppo sbilanciato a favore di Teheran per poter aspirare al ruolo di guida dell’esecutivo.

Per parafrasare un’espressione molto utilizzata in Italia nelle settimane antecedenti alla formazione del governo Conte, serve per l’Iraq un cosiddetto “premier neutrale”. Un nome che faccia da sintesi tra le due forze sciite principali, che potrebbe corrispondere a quello del premier uscente Al Abadi: con la sua lista, giunta terza alle elezioni, il primo ministro in carica dal 2015 garantirebbe continuità a livello internazionale ed una solida maggioranza al futuro esecutivo.

Al Sadr ed Al Abadi hanno simili visioni in politica estera, con un Iraq cioè non troppo sbilanciato verso l’Iran e propenso anche ad aperture verso l’Arabia Saudita, il problema sorgerebbe però a livello interno: il successo di Al Sadr alle consultazioni è in massima parte dovuto alle critiche lanciate all’attuale sistema governativo ed alla corruzione delle istituzioni post Saddam.

“Non ci sarà governo prima di dicembre”, è la profezia di una deputata sciita intervistata da AgenziaNova: la scelta del nuovo premier ed un eventuale allargamento della maggioranza anche a partiti sunniti, potrebbero rappresentare ancora diverse insidie prima dell’insediamento di un nuovo esecutivo. Come accaduto anche dopo le elezioni del 2014, l’Iraq dovrà aspettare ancora diversi mesi prima di capire quale direzione prenderà la propria politica.

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