Dove un tempo sorgeva l’antica Mesopotamia, corridoio fertile bagnato dai grandi fiumi della Mezzaluna, fanatici islamisti, sunniti e sciiti, uniti solo dall’odio per i raid dei cacciabombardieri americani, decisero di ricongiungersi – nonostante la separazione millenaria – per vendicare l’ennesima invasione armata mossa dall’Occidente sotto il nome di operazione Iraqi Freedom. Così l’Iraq, che aveva appena assistito all’occupazione della capitale Baghdad in virtù della presenza delle “famose” armi di distruzione di massa detenute dal governo iracheno baathista di Saddam Hussein, accusato di avere intessuto legami con l’organizzazione terroristica di Al Qaeda, si apprestava a diventare santuario dei proseliti che armavano l’ennesima “Guerra Santa” contro gli Stati Uniti, e culla di un utopico Stato islamico.
L’organizzazione jihadista islamica sunnita irachena – affiliata alla sigla di Al Qaeda che aveva colpito al cuore gli americani con gli attentati dell’11 settembre, scatenando l’invasione dell’Afghanistan nel contesto della lotta al terrorismo – venne fondata dal militante giordano Abu Musab al-Zarqawi nel 1999, iniziò a colpire nell’agosto del 2003, durante l’occupazione della Coalizione internazionale che aveva rovesciato Saddam, per espandersi e rilasciare un piano programmatico suddiviso in quattro punti principali nel 2005. Il desiderio di Abu Musab al-Zarqawi per riprendere il totale controllo dell’Iraq prevedeva la sconfitta e l’espulsione delle forze di occupazione statunitensi dal Paese per ristabilire la completata autorità islamica – ossia erigere un califfato in ottemperanza della Sunna – e lanciare solo in un secondo momento un'”ondata jihadista” da estendere “ai Paesi laici confinanti con l’Iraq”, per raggiungere e annientare la potenza dello Stato di Israele.
Vendetta
Mentre il governo appoggiato dagli Stati Uniti metteva al bando il Baath, e gli emissari occidentali scioglievano la sconfitta Guardia Repubblicana irachena per prendere le redini di un nuovo Esercito regolare da addestrare e appoggiare nel processi di normalizzazione – che si sarebbe dimostrato molto più lungo, sanguinoso, e impervio del previsto – i jihadisti affiliati ad Al Qaeda e sotto la nuova sigla Al-Tawhid-wal-jihad, attinsero nello scontento provocato e non curato dall’operazione militare lanciata dagli americani; che non avevano solo bombardato e occupato il Paese in base a quelli che verranno archiviati da una parte degli storici come interessi giustificati da congetture infondate – sebbene ricordiamo tutti l’allora segretario di stato Colin Powell che sbandiera al cospetto del Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite una fialetta contente la “prova” dell’esistenza delle armi batteriologiche di Saddam – ma avevano escluso da ogni tipo di incarico militare o posizione di rilievo i rappresentati del vecchio regime lasciando dilagare uno scontento che facilmente poteva ricollegarsi all’ideologia politica ed al fanatismo religioso.
La nascita dell’Isis
Quando nel giugno del 2006 il leader dei qaedisti iracheni al-Zarqawi viene eliminato da un raid statunitense, gli succede Abu Ayyub Al-Masri, il quale annuncia in breve tempo la fondazione di una Stato islamico dell’Iraq, accogliendo Abu Bakr Al-Baghdadi come comandante di quello che diventerà noto nel mondo come un nuovo califfato nero. L’entità autoproclamata, per ovviare alla decimazione di obiettivi di alto livello come leader e uomini chiave delle diverse cellule terroristiche operata dalla Cia e dai Seal con l’appoggio dei letali “droni killer” – che non si risparmieranno nel provocare vittime collaterali e ulteriori proseliti del jihad -, ricostituisce la sua struttura avvalendosi degli ex agenti dei servizi segreti e degli ex militare del partito Baath che avevano servito Saddam, contando nelle sue fila sunniti e sciiti, e ampliandosi alla branca siriana di Al Qaeda che si imporrà nel territorio siriano durante la successiva guerra civile.
La priorità di Al Baghadi – nuovo nemico numero uno della Casa Bianca che nel frattempo aveva eliminato elimina Osama Bin Laden in Pakistan (2 maggio 2011) – è quella di colpire obiettivi statunitensi ma anche obiettivi sciiti collusi con gli occupanti americani. Alimentando il “conflitto settario tra sciiti e sunniti in un progetto che sfugge alla comprensione di Al Qaeda” ma porta comune al raggiungimento del progetto che si era prefisso Al Zarqawi: la creazione di uno Stato islamico in Iraq che si imporrà come un califfato dove predicare la parola del profeta e restaurare integralmente le leggi della sharia.
L’epilogo straziante di un’utopia tradita
Sulla brace dell’invasione statunitense, e sulle ceneri del regime di Saddam Hussein (catturato dalle forze speciali americane il 13 dicembre 2003 e impiccato a Baghdad il 30 dicembre 2006) si espanderà così lo Stato islamico che, al massimo del suo cruento e deprecabile splendore, tra il 2015 e il 2016, si estenderà per oltre 30mila chilometri in quello che la stampa internazionale inizierà a chiamare Siraq. Con una forza ribelle di decine di migliaia di jihadisti che terranno in scacco oltre sei milioni di abitanti, e manterranno con i proventi del petrolio ottenuto dalla conquista di Mosul. Il califfato nero, utopia deprecabile nella sua manifestazione reale, si rivelerà essere una declinazione totalitaria dello Stato islamico fondato sulla politica del terrore più che la nuova età dell’oro paventa da Al Baghadi – eliminato dai Seal mentre si nascondeva in Siria (27 ottobre 2019) mentre il suo Califfato Nero crollava sotto l’avanzata dei Peshmerga, roccaforte dopo roccaforte, resa dopo resa, bomba intelligente dopo bomba intelligente, colpo dopo colpo sparato in nome di Allah secondo alcuni, in nome del solo spirito di vendetta secondo altri. Lasciandoci di fronte agli strascichi di un conflitto che mantiene radici profonde in quella terra martoriata che ha visto migliaia e migliaia di morti. In Siria, in Iraq e nel Kurdistan iracheno.