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L’innalzarsi della tensione tra Stati Uniti e Iran a seguito degli avvenimenti degli ultimi giorni, culminati con l’attacco missilistico iraniano alle basi americane in Iraq, effettuato come rappresaglia per l’eliminazione del generale Qasem Soleimani, il comandante delle Brigate al-Quds delle Irgc, il Corpo della Guardie della Rivoluzione Iraniana, apre il dibattito sui possibili scenari che potrebbero affacciarsi nel prossimo futuro.

Avendo bene in mente che uno scontro di tipo convenzionale, ovvero una guerra combattuta tra le rispettive Forze Armate senza l’utilizzo di armamenti atomici, è molto lontano dall’essere in vista, soprattutto perché non lo vuole nessuno dei due contendenti, sebbene per motivi diversi, risulta comunque chiaro che sia Teheran sia Washington non intendano affatto abbassare l’asticella della tensione sedendosi ad un tavolo di trattative, almeno per il momento.

Se possiamo considerare momentaneamente congelata l’escalation che ha portato ai fatti delle ultime 24 ore, anche in considerazione delle parole del presidente Trump che nella conferenza stampa di mercoledì pomeriggio (ora italiana) ha ribadito che la “linea rossa” delle vittime americane non è stata superata, quindi non è necessario un ulteriore attacco di tipo militare, è prematuro pensare che le due parti intendano accordarsi per cessare le ostilità che hanno caratterizzato tutta l’area del Medio Oriente dal Golfo Persico alla Siria da quando gli Stati Uniti hanno stracciato il trattato Jcpoa sul nucleare iraniano.

Che tipo di scontro aspettarsi allora? Ovviamente ancora uno scontro non-convenzionale rappresentato dalla guerra asimmetrica che abbiamo visto combattersi soprattutto in questi mesi in Iraq, con dei parossismi come quello dell’attacco missilistico della notte tra il 7 e l’8 gennaio.

La strategia asimmetrica di Teheran

L’Iran, memore dell’esperienza maturata durante il lunghissimo e sanguinoso conflitto contro l’Iraq, oltre a dotarsi di un arsenale missilistico tra i più numericamente consistenti del Medio Oriente da utilizzare come deterrente strategico, ha intrapreso la dottrina della guerra asimmetrica per sostenere la sua politica estera.

Il conflitto contro l’Iraq, che ha impegnato l’Iran per quasi un decennio, ha praticamente dissanguato la neonata Repubblica Islamica in termini finanziari (anche l’Iraq, tanto che invase il Kuwait due anni dopo per ripianare i debiti), ma soprattutto in termini demografici. Quella guerra, combattuta con tattiche convenzionali, come quelle utilizzate durante la Seconda Guerra Mondiale se pur con mezzi moderni, ha evidenziato non solo la disparità tecnologica tra Baghdad e Teheran, ma anche la differenza ideologica. Le ondate di giovani soldati iraniani, spesso male armati, che si gettavano sulle trincee irachene, sono la dimostrazione dell’alta motivazione ideologica di un intero popolo che si sentiva esistenzialmente minacciato dall’invasione irachena.

Memori di quella esperienza, a Teheran hanno cominciato a concepire i conflitti in modo non convenzionale, pertanto dotandosi di forze speciali, come le ben note Brigate al-Quds, che hanno addestrato, armato e sostenuto milizie filo-iraniane ovunque nei settori del Medio Oriente di interesse strategico per l’Iran.

L’esempio principale è dato da Hezbollah, il “Partito di Dio” sciita filo-iraniano che, in Libano, ha contrastato la presenza israeliana più volte nella storia, ma anche i ribelli Houthi, che si oppongono alla maggioranza sunnita sostenuta dall’Arabia Saudita in Yemen, anch’essi armati e sostenuti da Teheran.

Il conflitto asimmetrico, inteso a destabilizzare gli avversari regionali dell’Iran, si è attuato anche senza interventi militari più o meno diretti tramite i suoi proxy come Kataib Hezbollah in Iraq: si ricordi, a titolo di esempio, il sostegno alla ribellione antigovernativa in Bahrein nel 2011, in cui Teheran ha avuto una parte fondamentale nell’indirizzare le rivolte popolari sciite.

Questa strategia è risultata vincente e molto più fruttuosa rispetto ad un conflitto di tipo convenzionale: se oggi si parla di “Mezzaluna Sciita” è proprio grazie alle tecniche di guerra asimmetrica dell’Iran.

Le Guardie della Rivoluzione (Irgc), sono lo strumento fondamentale che conduce e ha condotto questo tipo di operazioni non convenzionali a vari livelli, e quindi si capisce anche perché gli Stati Uniti abbiano deciso, simbolicamente, di colpirle con un decapitation strike uccidendo il generale Soleimani, anche se l’azione ha sicuramente altri risvolti strategici e politici che devono ancora essere del tutto svelati.

A margine, ma non meno importante nel quadro generale di conflitto, c’è anche la nuova “guerra ibrida” in cui l’Iran si sta cimentando, e che vede, tra le altre cose, il ricorso alla cyber warfare per attaccare le reti informatiche nemiche, carpirne i segreti o semplicemente renderle inefficaci bloccandole parzialmente o totalmente.

Una strategia non solo iraniana

L’Iran, però, non è il solo ad avere capacità di guerra asimmetrica. Da questo punto di vista proprio gli Stati Uniti sono stati i pionieri dell’utilizzo di milizie paramilitari addestrate da forze regolari americane da impiegare in conflitti vari, anche ad alta intensità.

I famosi Berretti Verdi, hanno tra i loro compiti anche quello di addestrare milizie locali ed effettuare operazioni congiunte in territorio ostile. Prima ancora di quanto abbiamo visto e stiamo vedendo in Siria, dove le Forze Speciali americane, tra cui anche i Seal della Us Navy, hanno addestrato e affiancato le milizie curde delle Sdf, i Berretti Verdi hanno effettuato questo tipo di attività anche nel conflitto in Vietnam, dove hanno addestrato, armato e sostenuto le popolazioni degli altipiani centrali, spesso anche etnicamente diverse dai vietnamiti, per impiegarle contro i Viet Cong e l’Esercito Regolare Nord Vietnamita: i cosiddetti “Montagnards” o “Cidgees”, da programma Cidg (Civilian Irregular Defence Group).

Successivamente, proprio durante il conflitto Iran – Iraq, “consiglieri militari” americani hanno affiancato i guerriglieri afghani nella loro lotta contro l’Armata Rossa a seguito dell’invasione sovietica del 1979/80. Sempre in Afghanistan, ma in tempi più recenti, ancora i Berretti Verdi hanno effettuato lo stesso tipo di operazioni, ma questa volta contro i Talebani raggiungendo una serie di vittorie tattiche sul campo di battaglia ma avendo comunque perso strategicamente la guerra, proprio come in Vietnam.

Esiste però una differenza sostanziale nella dottrina di utilizzo delle forze “asimmetriche”, se così possiamo chiamarle. Se gli Stati Uniti le hanno impiegate per esclusivi obiettivi di ordine politico, quindi determinati dalle contingenze di un particolare scenario, l’Iran le ha impiegate e le impiega con una modalità diversa, in forza, cioè, di una dottrina “metapolitica” intesa come affinità ideologico/culturale, e quindi saldando legami che non sono solo di amicizia, ma di vera e propria alleanza, financo di fratellanza quando si tratta di Hezbollah, ad esempio.

Sicuramente questa attitudine tutta iraniana ha contribuito al maggiore successo, rispetto agli Stati Uniti, delle operazioni asimmetriche che sono state condotto da Teheran sino ad oggi.

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