L’Iran e la Corea del Nord avrebbero ricominciato a collaborare per la fabbricazione di missili a lungo raggio prevedendo anche la cessione di “pezzi fondamentali” per la ripresa del programma missilistico degli Ayatollah.
Secondo quanto riporta Reuters, che cita una fonte anonima della diplomazia americana, oltre alla ripresa del programma missilistico, Teheran sarebbe in grado di produrre abbastanza materiale fissile per costruire il suo primo ordigno atomico entro la fine dell’anno.
La fonte non ha riportato ulteriori dettagli, ma Washington, proprio lunedì, ha elevato ulteriori provvedimenti sanzionatori che colpiranno più di due dozzine di persone ed entità coinvolte nei programmi nucleari, missilistici e di armi convenzionali dell’Iran.
Le nuove sanzioni sono anche un segnale lanciato dagli Stati Uniti agli alleati europei, alla Cina e alla Russia che il dossier iraniano resta fondamentale per la Casa Bianca e che non possono più ignorare la volontà degli Stati Uniti di colpire l’Iran nel suo programma nucleare che viene considerato ancora un pericolo dall’amministrazione Trump. L’accordo Jcpoa, siglato nel 2015, è stato infatti giudicato non efficace in vista dell’uso esclusivamente pacifico dell’atomo da parte degli Ayatollah, e Washington pertanto, su pressioni israeliane e saudite, ha ricusato il trattato unilateralmente nel 2018.
La nuova ondata sanzionatoria di matrice statunitense intende colpire anche coloro che acquistano o vendono armi convenzionali iraniane, ma soprattutto sembra essersi concentrata sulla missilistica: nei piani della nuova amministrazione, infatti, c’è sempre stato l’accorpare il programma missilistico a quello nucleare, possibilità che mancava nel Jcpoa e che l’Unione Europea non vede di buon grado preferendo mantenere separati i due dossier.
L’amministrazione Trump sospetta che l’Iran stia continuando a cercare di dotarsi di armi nucleari – possibilità sempre negata da Teheran – e i provvedimenti di lunedì sono gli ultimi di una serie che cerca di ostacolare il programma atomico dell’Iran.
Secondo la stessa fonte anonima “l’Iran sta chiaramente facendo tutto il possibile per mantenere in vita una capacità virtuale chiavi in mano per tornare nel business delle armi in un attimo se dovesse scegliere di farlo” pertanto la Casa Bianca è fermamente decisa a impedire che questo possa accadere. Esiste però un’altra motivazione che è molto più diplomatica: un Iran con missili balistici e testate nucleari spingerebbe gli altri Stati del Golfo a perseguire sulla strada del nucleare, come sta facendo proprio l’Arabia Saudita con l’importante aiuto della Cina. Un’eventualità che Washington non può permettere non solo per una questione di stabilità e sicurezza dell’area, ma per evitare pericolose ingerenze di Pechino in casa Saud che potrebbero fare da apripista ad altre petromonarchie del Golfo che volessero intraprendere la stessa strada.
Gli Stati Uniti, infatti, se sono riusciti a gestire il programma nucleare degli Emirati Arabi con la nascita della loro prima centrale – costruita da Seul col nulla osta di Washington – non è detto che riescano a controllare la diffusione dell’atomo altrove, soprattutto quando l’Iran viene percepito nuovamente come una minaccia nucleare.
Teheran, oltre ad aver in essere un programma atomico che deve molto alla collaborazione con Pechino e Mosca, sta modernizzando il proprio arsenale missilistico che ha anche permesso, dopo anni di fallimenti, la messa in orbita di un satellite.
L’Iran, storicamente, deve molto alla Corea del Nord per quanto riguarda il suo programma missilistico: i rapporti tra i due Paesi risalgono ai primi anni della Rivoluzione Islamica quando Teheran era in guerra con Baghdad. Allora Pyongyang fornì un lotto consistente di missili balistici a corto raggio di fabbricazione sovietica Scud-B che ottennero la denominazione locale Shahab-1 e qualche decina dei più potenti Scud-C, che presero il nome di Shahab-2.
Questo vettore, così come avvenne per la Corea del Nord, fu il punto di partenza per lo sviluppo del programma missilistico iraniano, ma la partnership vera e propria con Pyongyang si manifestò per la costruzione dello Shahab-3 che è anche il primo Mrbm operativo della Repubblica Islamica ed è basato sul nordcoreano No-dong 1. I primi test di questo vettore che ha un raggio d’azione di circa 1300 chilometri, sono cominciati tra il 1997 ed il 1998.
Proprio lo Shahab-3 ha fatto da base per i successivi missili balistici a raggio medio e intermedio degli Ayatollah, che ora, a quanto sembra, stanno puntando su vettori balistici con gittata più elevata: esistono già da anni rapporti di intelligence che segnalano il lavoro su sistemi intercontinentali (Icbm) ma sino ad oggi nessun missile risulta sviluppato e nessun test è stato svolto, sebbene la messa in orbita di un satellite indichi che a Teheran hanno a disposizione una tecnologia sostanzialmente matura in questo senso.
La Corea del Nord, quindi, è ritenuta ancora avere un ruolo fondamentale per la missilistica made in Iran, e non sorprende che la rivelazione fatta a Reuters dalla fonte anonima americana sia successiva alle dichiarazioni di Kim Jong-un, che a giungo aveva fatto sapere che avrebbe ripreso ufficialmente lo sviluppo del nucleare insieme a quelli dei missili balistici. Una dichiarazione che suona più come un’ammissione, in quanto, dati di intelligence alla mano, negli ultimi due anni risulta evidente che a Pyongyang si sia lavorato di nascosto per continuare nei programmi atomico e missilistico, forse anche a fronte dello stallo dei negoziati per la pacificazione della Penisola Coreana, che languono sin dal fallimentare vertice di Hanoi.