“La situazione in Siria ora è molto più calma, ma per dire che la guerra sta finendo, dobbiamo aspettare ancora”. Sono le parole di monsignor Georges Abou Khazen, vescovo di Aleppo. “La popolazione è molto stanca di questa guerra che va avanti da otto anni. Tutti preghiamo affinché il conflitto finisca presto”.
La guerra in Siria
15 marzo 2011. Con le manifestazioni di piazza contro il regime inizia ufficialmente la guerra in Siria. In berve tempo gli scontri si allargano in tutto il Paese e una dopo l’altra entrano in campo anche le più grandi potenze mondiali guidate da Usa e Russia. La guerra assume diverse sfaccettature: gli scenari cambiano più volte, così come le alleanze e gli equilibri.
Oggi il conflitto sembra all’epilogo, ma la regione di Idlib e alcune zone nell’est del Paese sono ancora in mano a ribelli e Isis. In otto lunghi anni di conflitto sono oltre 400mila i morti, più di 6milioni i siriani che hanno lasciato il loro Paese e circa 7 milioni gli sfollati interni. Tra loro anche le numerose comunità cristiane, vittime di violenze e omicidi.
“Noi cristiani, così come il resto della popolazione, abbiamo vissuto un dramma, la morte“, ha spiegato il vescovo a Gli Occhi della Guerra in occasione dell’incontro organizzato dal Circolo Feltre Milano. “Anche la Chiesa ci è stata vicina e grazie ai numerosi benefattori abbiamo potuto aiutare la gente a sopravvivere”.
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Il dramma dei cristiani
Nel corso di questi otto lunghi anni di guerra, la comunità cristiana viene decimata. Si stima che prima del conflitto, i cristiani rappresentassero circa il 10% della popolazione siriana. “Chi è riuscito a sfuggire alle persecuzioni ha lasciato il Paese, altri invece si sono sparsi su tutto il territorio siriano. I cristiani tengono all’unità della loro patria e fungono da ponte tra i vari gruppi etnici e religioni che popolano la Siria”, ha spiegato monsignor Georges Abou Khazen.
Un Paese multiculturale dove i cristiani hanno sempre vissuto in modo pacifico, svolgendo anche importanti ruoli in ogni settore della società. Ma lo scoppio del conflitto civile rompe presto gli equilibri interni: l’intolleranza religiosa dei gruppi che stanno ancora destabilizzando il Paese mette in pericolo i cristiani e la loro sopravvivenza. Come per altre minoranze religiose, iniziano violenze e vessazioni. La culla del cristianesimo si trasforma in un campo di battaglia dove i fedeli diventano il bersaglio di feroci attacchi. “Non ci si deve dimenticare di noi. La Siria è fondamentale per tutti i cristiani: ad Antiochia sono stati chiamati i discepoli per la prima volta, San Paolo è stato convertito alle porte di Damasco. Se la Chiesa è diventata universale è grazie ai missionari che sono partiti da quelle terre”.
Voglia di rincominciare
“La gente ha voglia di ricominciare, di tornare a casa e ricostruire le case”, ha continuato il vescovo. “Non si può parlare ancora di un vero e proprio rientro di massa. Qualcuno sta già tornando in Siria, ma la maggior parte della popolazione ha bisogno di una casa, di un lavoro per poter sopravvivere in patria. E tutto questo non è assicurato ancora”.
Nonostante tutte le difficoltà, i siriani non si lasciano scoraggiare e molti hanno già iniziato a ricostruire le abitazioni, a sgomberare le strade dalle macerie per lasciare spazio a una nuova vita. “Questa guerra ci ha colpito come uno tsunami. Non eravamo preparati, ma ci siamo sempre dati da fare”, ha spiegato monsignor Abou Khazen raccontando l’ultimo progetto – Un nome e un futuro – nato per sostenere i bambini abbandonati ad Aleppo. “Piccoli orfani, molti nati in seguito a strupi e abusi, che non hanno una casa: noi vogliamo dare loro un nome e un’istruzione”.
Nelle grandi città così come nei piccoli centri distrutti da anni di durissimi bombardamenti la gente è al lavoro. Vuole riprendere in mano la propria vita. “C’è ancora molto da fare, ma la popolazione è forte, da ammirare – ha concluso il vescovo -. Io paragono questo popolo alle formiche: anche quando ogni cosa è distrutta, loro ricostruiscono tutto di nuovo”.