Nei primi giorni di guerra le notizie che arrivavano dal fronte parlavano di condizioni dei prigionieri “adeguate”, sia da una parte che dall’altra. Nel marasma di un conflitto nel cuore dell’Europa, sembrava che almeno un bruciolo di umanità potesse rimanere parzialmente intatto nel trattamento di chi, da una parte e dall’altra, veniva catturato. Con il passare dei giorni però, anche questa speranza è stata disattesa. E anzi dall’Ucraina emergono, anche in questo caso da una parte e dall’altra, notizie raccapriccianti.
Sono tanti e troppi gli episodi in cui la tortura è emersa prepotentemente come macabra arma (anche) di questa guerra. Più i giorni passano e più il nemico non viene visto come un essere umano. Ma, al contrario, come un soggetto su cui riversare l’aridità di un animo buttato per tre mesi tra le trincee di un conflitto, come un capro espiatorio da punire in modo barbaro o per dare un segnale ai suoi connazionali oppure per mero tragico sadismo di persone che hanno dimenticato la vita fuori dal fronte. La tortura, mezzo inaccettabile sia in pace che in guerra, è un altro dei tanti motivi per sperare in una rapida fine delle ostilità in territorio ucraino.
La conversazione degli orrori
In Siria e in Iraq le torture inflitte ai prigionieri venivano ostentate dall’Isis sui propri canali social. Era un modo per mostrare la fine inflitta agli “infedeli” e dietro ogni video c’era anche una regia ben pianificata con montaggi fatti ad arte per aumentare l’impressione nell’osservatore. Dall’Ucraina, a parte rari episodi, non sono emersi video di torture confezionati appositamente per essere diffusi sui media. Anche perché a nessuna delle parti in causa converrebbe mostrare l’uso della tortura come arma sistematica applicata ai prigionieri. Per cui le atrocità corrono spesso su Telegram, quando soldati poco prudenti diffondono all’interno di determinati canali le immagini degli orrori. A volte però sono le intercettazioni a rivelare i lati più violenti e disumani di questa guerra. Come accaduto ad esempio il 12 aprile, quando i servizi di sicurezza ucraini sono riusciti a captare la conversazione tra il soldato russo Roman Bykovsky e la moglie: “Vai e stupra le donne ucraine – esortava lei durante un dialogo con il militare – non devi nemmeno dirmelo, l’importante che usi le precauzioni”. Il tutto con delle risate ironiche di sottofondo.
L’ultima conversazione intercettata dagli ucraini riguarda invece un militare di poco più di 20 anni, il quale a telefono con la madre ha spiegato i metodi di tortura contro i prigionieri. A rivelarlo sono stati i servizi di Kiev, secondo cui il protagonista di questa vicenda si chiama Konstantin Solovyov, un soldato russo appartenente all’11esimo corpo di armata dell’esercito di Mosca. Si tratta di un battaglione al momento dispiegato, sempre secondo le informazioni rivelate da Kiev, nel fronte di Kharkiv.
La conversazione è stata pubblicata dal ministero della Difesa ucraino il 3 maggio scorso, ma risalirebbe ad alcuni giorni prima. Il soldato Solovyov ha parlato di come ha trattato lui personalmente, assieme a colleghi dell’Fsb (il servizio segreto russo), alcuni prigionieri ucraini catturati nel corso della battaglia. Tre i metodi principalmente usati. Il primo consiste in pestaggi mortali di chi non vuole parlare o di chi è stato sorpreso a filmare il posizionamento delle truppe russe. Il militare in questione ha detto alla madre di aver pestato un anziano reo di fare filmati in direzione delle colonne di mezzi russi. Poi c’è quello chiamato “metodo delle 21 rose“. Consiste nello scorticare la pelle del prigioniero in determinati punti sensibili del corpo, tirandola via come se fosse petalo di un fiore. Infine Solovyov ha parlato di un’altra tragica modalità, punitiva e umiliante per la vittima, consistente nell’infilare nell’ano della vittima del filo spinato tramite un tubo di gomma per poi estrarlo via lentamente.
Il soldato non è apparso affatto pentito dei metodi di tortura usati: “Non so se mi piace torturare – si legge in una sua risposta alla domanda della madre su quello che prova mentre prende parte ai macabri rituali – Non provo nemmeno più rimorsi. Dopo più di 20 omicidi, ho smesso di provare qualcosa”. La madre ha risposto a sua volta sottolineando la somiglianza di carattere tra i due: “Te l’ho sempre detto che, in linea di principio, mi trattengo – ha dichiarato – Se fossi finita lì mi sarei divertita anche io. Siamo uguali”. Il ragazzo ha poi detto a chiare lettere che se fossero gli ucraini al suo posto, avrebbero fatto con lui la stessa cosa. Da qui una sorta di “giustificazione” del suo mancato pentimento. I due si sono messi pure a ridere quando il soldato ha raccontato della rottura delle dita a un prigioniero: “Allora non può più né grattarsi il naso e né può indicare”, ha risposto ridendo la madre.
La tortura come arma di guerra
Anche da parte di Mosca sono stati denunciati pesanti maltrattamenti sui soldati catturati. Ad aprile, dopo uno scambio di prigionieri, alcuni militari rientrati in patria feriti sono stati portati negli ospedali di Belgorod. Qui, stando a quanto fatto sapere da fonti delle forze armate russe ai media locali, sono stato trovati soldati evirati oppure senza più le dita delle mani. Su Telegram, alcune settimane prima, soldati ucraini hanno postato un video in cui veniva mostrato un prigioniero russo legato e trattenuto da altri militari di Kiev mentre era costretto a dire alla propria ragazza, chiamata tramite lo smartphone trovato in suo possesso dai carcerieri, che a breve avrebbe subito l’amputazione dei genitali. Un video che fa il pari con un altro, diffuso a marzo, dove soldati ucraini chiamavano con il cellulare di un soldato russo ucciso i familiari di quest’ultimo per annunciare, con toni incredibilmente sarcastici, la morte del loro parente e l’intenzione di non restituire mai più il cadavere.
Quello delle chiamate tramite smartphone ai familiari dei caduti è un altro dei “rituali” visto troppo spesso in questa guerra. É stato applicato per la prima volta durante la guerra civile siriana, quando i militanti jihadisti che catturavano dei soldati di Damasco costringevano questi ultimi a inviare messaggi vocali di addio alle proprie madri e ad annunciare l’imminente esecuzione. L’impressione è che più si andrà avanti con la guerra e più si assisterà, da ambo i lati, a scene del genere. Più la guerra si sostituisce alla normalità e più verrà meno ogni principio di umanità. Una triste regola osservata già altre volte nei vari conflitti.