La partita libica cambia ogni giorno. E in questi ultimi giorni, l’accelerazione in vista di una tregua tra Khalifa Haftar e Fayez al Sarraj indica che siano in molti a sperare che il quadro possa cambiare velocemente per una nuova regolarizzazione del conflitto. Soprattutto per evitare che quello che è in atto sulle coste nordafricane possa deflagrare definitivamente in un conflitto che coinvolga tutto il Mediterraneo.
L’Italia prova a tornare protagonista. Ma è chiaro che adesso la palla sia passata a ben altre potenze che, dopo aver escluso di fatto Roma da chi può decidere le sorti libiche, provano a strappare posizioni di forza e imporsi anche a scapito dell’Italia. Che adesso diventa una nazione protagonista più come palcoscenico o proxy che per reale capacità di incidere in modo sostanziale sulla guerra esplosa a pochi chilometri dalle coste siciliane. L’ultimo tassello di questa (curiosa) evoluzione del ruolo italiano lo fornisce La Stampa, che riporta un retroscena a dir poco inquietante per il nostro governo: Haftar pare non sia giunto a Roma per vedere Giuseppe Conte, ma per incontrare gli americani che si occupano di Libia.
Secondo le fonti del quotidiano, il generale della Cirenaica avrebbe infatti deciso di atterrare a Roma non tanto per vedere i funzionari italiani, comunque importanti nello scacchiere nordafricano, ma per vedere Victoria Coates, vice consigliere per la sicurezza nazionale con deleghe per la Libia, e l’ambasciatore Usa in Libia Richard Nordland. Notizia che chiaramente capovolge la narrazione di un’Italia decisiva nel ginepraio libico ma che impone soprattutto una riflessione sul ruolo degli Stati Uniti nello scenario bellico. motivo per cui Conte e Luigi Di Maio guardano sì a Russia e Turchia, ma invece di puntare sull’effimero ruolo europeo dovrebbero prendere in considerazione la sponda americana e atlantica come contraltare per incidere sul destino di Tripoli e dintorni. Perché il rischio è che anche gli Stati Uniti cedano in modo chiaro alle “sirene” del maresciallo dell’Est, lasciando Sarraj nelle mani turche.
Gli Stati Uniti hanno deciso che Haftar possa essere un attore fondamentale. Lo fece capre Donald Trump già nella primavera dell’anno scorso, quando con l’assedio di Tripoli appena iniziato, telefonò al generale dell’Esercito nazionale libico per esprimergli fiducia nella lotta al terrorismo. Una mossa che fece alzare più di un sopracciglio al Dipartimento di Stato, ma che diede immediatamente l’immagine di un’America fondamentalmente indecisa e soprattutto non particolarmente contenta di lasciare la Libia agli alleati di Haftar. Che ad eccezione della Russia, nei fatti sono prima di tutto alleati degli Stati Uniti. Non c’è Paese nel blocco pro Haftar che non sia un partner statunitense o un membro della Nato. E per questo gli Stati Uniti hanno fatto intendere al maresciallo che il ritiro dei contractors della Wagner dal fronte tripolino sia un elemento essenziale per la sua consacrazione anche a Washington.
Haftar per adesso ha deciso di optare per il doppio forno. Del resto, come cittadino americano e antico amico della Cia, nono può certo dimenticarsi della sponda d’Oltreoceano. Ma la Russia è un partner più fondamentale. Fornisce uomini e mezzi oltre che intelligence e capacità operative. E il Cremlino non vuole cedere nulla sul fronte libico, soprattutto dopo l’accordo trovato con Recep Tayyip Erdogan sullo schema di quanto avvenuto nel nord della Siria. Haftar è un comandante ribelle, ma Vladimir Putin è più di un osso duro. E se Trump ha dimostrato poco interesse sullo scenario nordafricano, il presidente russo ha fatto capire l’esatto opposto, mandando da tempo il suo emissario Lev Dengov a sciogliere i nodi del conflitto in favore degli interessi di Mosca. Non a caso Haftar oggi è atteso a Mosca mentre sembra che Sarraj abbia già preso la via di Ankara. Sono loro le capitale di fatto della nuova Libia divisa fra l’impero russo e quello ottomano. Ma gli Stati Uniti e la Nato possono offrire un aiuto fondamentale. soprattutto perché la Turchia è ancora membro dell’Alleanza atlantica e solo una sottile striscia di mare divide Tripoli dal fronte sud dell’Alleanza.
Nel frattempo, mentre i consiglieri militari turchi hanno raggiunto i sobborghi di Tripoli, i voli russi verso Bengasi sono ormai nell’ordine di uno al giorno. I satelliti tracciano da settimane continui spostamenti di Tupolev dalla Siria verso la Cirenaica. Come riporta il sito specializzato ItalMilRadar, solo in queste due settimane sono tre i voli russi verso la Libia tracciati dai siti di monitoraggio dei voli. Tutti con la stessa rotta: Mosca Chalovsy-Bengasi con scalo a Latakia, in Siria.