Non è semplice muoversi, per chi da anni è in prima linea nel seguire le evoluzioni della politica estera, tra una vita limitata a casa per via delle norme sul coronavirus e la prosecuzione del lavoro portato avanti prima dell’emergenza. Lo sa bene Michela Mercuri, docente universitaria e tra le opinioniste più ricercate quando il mondo mediatico italiano si accorge che in Libia stiamo perdendo molti interessi per via di una guerra mai finita: “Tra lezioni online e lavoro da casa – ha dichiarato l’autrice, tra le altre cose, di Incognita Libia – Prosegue sempre il mio lavoro sulla Libia e la ricerca di informazioni su quel conflitto”. Ed è proprio dalla sua abitazione che la dottoressa Mercuri ha lanciato ai nostri microfoni un allarme che potrebbe valere soprattutto per il dopo emergenza Covid: “Il fatto che si debba fronteggiare questa pandemia non implica che la politica estera debba essere messa nel dimenticatoio”.
I rischi per l’Italia
Sì perché il nostro Paese, ancora una volta, ha tralasciato colpevolmente sguarnito il ramo riguardante la politica estera: “L’Italia, in politica estera, continua a commettere gli stessi errori – ha dichiarato Michela Mercuri – rincorrere gli eventi anziché predisporre una strategia di lungo periodo, capace di essere rimodulata anche in base a situazioni eccezionali come il Covid19”. Eppure, come ha ricordato la stessa docente, “abbiamo un’Ambasciata a Tripoli che continua a funzionare, nonostante le evidenti difficoltà dovute alla guerra in corso, eppure nessuno sembra ricordarsene”. Proprio dalla nostra sede diplomatica, lo scorso 21 marzo è uscita dichiarazione di condanna contro i bombardamenti del generale Khalifa Haftar nei quartieri residenziali di Tripoli: “Ma neppure questo evento ha scatenato la benché minima reazione del nostro governo – ha dichiarato Michela Mercuri – Tutto ciò non accade in altri Paesi europei”.
Ed infatti, ad esempio, proprio a marzo all’Eliseo è avvenuto un incontro a Parigi tra il presidente francese Macron ed il generale Haftar. Un bilaterale importante, come ha sottolineato la docente: “Secondo alcune indiscrezioni la Francia avrebbe proposto un meccanismo per riattivare l’esportazione di petrolio, dopo il blocco dei pozzi da parte dell’Lna – ha fatto presente Michela Mercuri – Come garanzia avrebbe offerto al generale di bypassare la Banca centrale libica, col rischio che parte dei proventi potrebbero arrivare direttamente alle strutture finanziarie dalla Cirenaica, alimentando, così, le divisioni nel Paese”.
“Detta in altri termini – ha proseguito Mercuri – anche in un momento di grande difficoltà l’Italia dovrà trovare la forza di portare avanti la propria politica estera, senza contare sull’appoggio dell’Europa ma, anzi, con il suo ostracismo (economico oltre che politico). Una situazione che ben conosciamo ma che se non riusciremo a sanare nel minor tempo possibile rischierà di avere conseguenze devastanti per il nostro futuro, non solo nel Mediterraneo”. Tuttavia, ormai si è compreso come purtroppo da Roma non si ritornerà a seguire stabilmente la Libia se prima non passa l’attuale emergenza Covid-19. Ma una volta giunto il fatidico giorno del “contagio zero”, non c’è forse il rischio che sia troppo tardi per il dossier libico? Una preoccupazione, raccolta dalla stessa Mercuri: “Forse l’Italia si sta illudendo che una maggiore presenza turca sul fronte libico non metterà in discussione i suoi interessi economici, perché abbiamo una storia di “buoni rapporti” alle spalle con i libici. Ma questo potrebbe non bastare, in realtà”, ha dichiarato la docente. Ad ogni modo, sempre secondo Michela Mercuri, quando si ritornerà sulla Libia la prima cosa da fare “sarà recuperare un ruolo politico, e una “voce”, all’interno dell’Ue, in un momento di grande difficoltà economica in cui le istituzioni europee avranno il coltello dalla parte del manico”.
La guerra in Libia continua
Nel frattempo però, oltre al lavoro della diplomazia, in Libia a proseguire in questi giorni è stata soprattutto la guerra. Il coronavirus non l’ha fermata, anzi adesso anche la parte antica di Tripoli è risultata essere stata coinvolta dalla battaglia. Tuttavia, il conflitto potrebbe risentire del calo di attenzione mediatica ad esso rivolto per via della pandemia in corso: “La guerra va avanti con una violenza ancora maggiore vista “l’assenza di telecamere” – ha spiegato Michela Mercuri – e ognuno porta avanti la sua partita che si gioca anche a colpi di “campagna elettorale”. Mentre per il premier Fayez Al Serraj il coronavirus è il “nemico comune” di fronte al quale il mondo si unisce, l’Esercito nazionale libico di Haftar ha lanciato una campagna di sterilizzazione delle strutture pubbliche per prevenire la diffusione della pandemia. I ministeri dell’Interno e della Salute dell’est, hanno attuato una serie di misure precauzionali nei porti e aeroporti sotto il loro controllo. Insomma il Coronavirus in Libia ha fomentato una doppia guerra: quella “guerreggiata” e quella della propaganda“.
Sulla durata di questo conflitto, è ancora difficile sbilanciarsi: “Ma di sicuro andrà avanti ancora a lungo – è la previsione della docente – Avevamo riposto qualche speranza nel vertice di Berlino che, ad oggi, possiamo dire, si è rivelato pressoché inutile. Nella città tedesca le grandi potenze mondiali avevano prospettato una road map condivisa per la Libia ma senza il coinvolgimento dei libici”.
“Le “belle parole” di Berlino – ha concluso Michela Mercuri – si sono subito scontrate con la realtà sul campo: una guerra tra le due fazioni che è proseguita anche durante l’incontro e ha mostrato l’enorme scollamento esistente tra la percezione internazionale della Libia e la reale situazione sul campo”.
La missione Irini
Una novità, nel marasma di questi giorni contrassegnati dall’emergenza coronavirus, in realtà c’è: si tratta della nuova missione navale europea, ossia la “Irini“. Comandata dal contrammiraglio Fabio Agostini, l’operazione ha preso il posto della missione Sophia che era iniziata nel 2015. La Irini è nata con l’intento, confermato nella conferenza di Berlino, di far rispettare l’embargo delle armi verso la Libia: “Questa missione può essere riassunta con una frase: “la montagna ha partorito un topolino” – ha tagliato corto Michela Mercuri – Partita in pompa magna sulla carta non ha ancora trovato una sua implementazione pratica”. Il perché è presto detto: “Al momento solo Grecia e Italia hanno dato la disponibilità a inviare navi – ha spiegato Michela Mercuri – Gli altri paesi europei nicchiano. L’assetto navale di Irini sarà dislocato solo nell’est del Paese e non potrà operare né via terra né nelle acque territoriali libiche. Questo rende la missione decisamente poco incisiva poiché molte armi arrivano via terra, specie dal confine tra l’Egitto e la Libia”.
Poche prospettive dunque e poche chance di successo. Anzi, la missione Irini secondo Michela Mercuri è quasi un fallimento annunciato: “Si tratta una missione con regole di ingaggio piuttosto limitate – ha concluso la docente – visto che prevede solo controlli in mare nell’est libico e non in acque territoriali libiche e nei confini terrestri. Probabile che tale “limite” non sia solo attribuibile al fatto che per allargare il mandato della missione sia necessario il consenso delle autorità locali, ma anche al fatto che molti Paesi europei non vogliano esporsi troppo con gli Stati che inviano armi in Libia, in primis Turchia ed Emirati, con cui hanno in ballo affari economici”.