Che il conflitto in Libia non sia soltanto una “semplice” guerra civile è ormai noto. Alle due fazioni in gioco – quella di Fayez Al-Sarraj, premier libico sostenuto dall’Onu, e quella del generale Khalifa Haftar, uomo forte del governo di Tobruk -, si sommano le potenze internazionali, che sostengono l’una o l’altra parte, inviando aiuti e armi.

Sulla Libia, tuttavia, esiste un embargo sulle armi imposto dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, continuamente violato dal “trasferimento illecito di armi o materiali connessi”, secondo quanto denunciato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

L’implicazione nel conflitto libico di forze estranee al Paese è diventata ancora più evidente a partire dallo scorso aprile, quando queste hanno intensificato il sostegno militare nei confronti dei due schieramenti rivali, in risposta alla campagna avviata da Haftar per conquistare Tripoli.

La guerra aerea

Contrariamente alle previsioni, dopo alcune vittorie lampo l’avanzata di Haftar verso Tripoli si è arenata. Gharian – la cittadina della Tripolitania da cui era partita l’offensiva del Generale – è rientrata sotto il controllo delle milizie di Al-Sarraj. L’uomo forte del governo di Tobruk però non si è arreso e lo scontro si è trasformato in breve tempo in una guerra di logoramento.

La battaglia si è trasferita nei cieli della Libia. Da qui, le forze di Haftar e Al-Sarraj riescono a colpire basi arretrate, centri di rifornimento e postazioni delle truppe nemiche, coprendo grandi distanze e ampliando i confini dello scontro.

Anche importanti asset nazionali sono diventati bersaglio dei raid aerei. Dall’inizio di luglio, l’aeroporto di Mitiga è stato ripetutamente chiuso e i suoi voli sospesi; stessa sorte per l’aeroporto di Misurata. Lo scorso lunedì, un raid aereo – lanciato dalle forze di Haftar – ha colpito un’assemblea pubblica in una zona residenziale del distretto di Qalaa, nella città di Murzuq.

Un crescendo che ha spinto Ghassan Salamé, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la Libia, a denunciare come il Paese sia ormai diventato “un terreno di prova di nuove tecnologie militari e un luogo in cui riciclare le vecchie armi”. Proprio la presenza di droni armati, cannoni Sr, mortai e lanciarazzi impiegati sul campo di battaglia libico testimonierebbe l’ingerenza straniera nella guerra civile.

Droni Orbiter-3

Recentemente, le forze di Haftar hanno annunciato di aver abbattuto numerosi droni, di cui sarebbe in possesso il Governo di Accordo nazionale libico, molti dei quali di provenienza turca.

Nel mese di luglio anche due droni tattici Orbiter-3, di fabbricazione israeliana, sono stati rinvenuti in Libia, dopo essere stati abbattuti dalle truppe del generale Khalifa Haftar. Il primo è stato recuperato a circa 40 chilometri a sud-ovest di Tripoli, nella cittadina di El-Azizia; il secondo nel distretto di Sidra, uno dei principali terminal petroliferi del Paese.

Prodotto dall’azienda israeliana Aeronautics, il drone Orbiter-3 è un aereo senza pilota, progettato per essere impiegato in operazioni militari e di sicurezza. Ha un raggio di azione di 150 chilometri e può rimanere in volo fino a sette ore, svolgendo missioni di intelligence, sorveglianza, acquisizione di obiettivi e ricognizione (Istar). Dotato di visori diurni e notturni, è facilmente assemblabile in pochi minuti.

Secondo quanto riferito dal Jerusalem Post, il drone viene venduto dall’azienda israeliana a clienti in tutto il mondo, ma questi firmano un accordo secondo il quale non possono venderlo a terzi. Eppure, il governo turco avrebbe ceduto questi velivoli senza pilota al Governo di accordo nazionale di Tripoli, dopo averli ottenuti da Israele nel contesto di accordi di cooperazione militare stretti tra i due Paesi.