L’invasione russa dell’Ucraina cominciata il 24 febbraio 2022 ha riportato lo spettro della guerra in Europa dopo più di venticinque dal termine delle ostilità nei Balcani determinate dallo sfaldarsi della Jugoslavia. Quel conflitto aveva caratteristiche però diverse da quello attualmente in corso: era caratterizzato infatti da una forte componente indipendentista, e sebbene combattuto “convenzionalmente” (se pur con la presenza di milizie paramilitari volontarie) si può ascrivere nel campo dei conflitti etnici/religiosi.
Come il terrorismo ha cambiato gli eserciti
Una guerra di conquista in Europa non si vedeva dalla Seconda guerra mondiale, il cui termine ha portato la divisione del mondo in blocchi contrapposti e una frontiera impenetrabile in Europa che ha separato il continente sino al 1989: la Cortina di Ferro. Questa spartizione, in funzione degli accordi di Jalta, ha garantito una pace armata in Europa durata decenni – la Guerra Fredda – e il collasso dell’Unione Sovietica del 1991 ha determinato la nascita di un mondo unipolare che si credeva falsamente stabile.
La fine delle dinamiche di opposizione tra due sistemi diversi (capitalismo e socialismo), ha generato l’insorgenza del terrorismo internazionale di stampo religioso e consequenzialmente la necessità del suo contrasto attivo anche al di fuori dei confini nazionali dei Paesi vittima delle sue manifestazioni. Pertanto lo strumento militare è radicalmente cambiato nel corso del decennio 1990/2000, e gli eserciti (non solo occidentali) hanno sviluppato dottrine di counterterrorism e counterinsurgency che hanno portato con sé l’accantonamento del warfighting tradizionale, ovvero le operazioni belliche tra enti statuali.
Riduzione del personale, fine della coscrizione, ridimensionamento delle forze pesanti e di quelle aeree sono i principali effetti di questa conversione che ha portato con sé anche la rimodulazione del complesso militare industriale, non più chiamato a soddisfare ordini per centinaia o migliaia di mezzi ed equipaggiamenti destinati alle forze armate.
In particolare lo stato delle forze pesanti è emblematico di questo passaggio epocale: il numero di Mbt (Main Battle Tank) presenti negli eserciti europei è drasticamente diminuito in quanto era venuta a cessare la minaccia convenzionale data dall’URSS e dai Paesi del Patto di Varsavia.

Lo choc della guerra in Ucraina
Il conflitto in Ucraina, da questo punto di vista, è stato uno choc: improvvisamente la minaccia di un’invasione in grande stile, in Europa, si era fatta reale. Eppure segnali in questo senso c’erano già stati nel corso dei vent’anni precedenti: prima ancora del colpo di mano russo in Crimea e della destabilizzazione del Donbass nel 2014, la Federazione si era impegnata in una campagna militare contro la Georgia per ottenere il controllo dell’Ossezia del Sud nel 2008.
Una prima lezione che è stata appresa dalla guerra in corso è stata quindi la necessità di rimodulare le forze armate, in particolare quelle terrestri, al warfighting convenzionale e simmetrico, quindi dando importanza all’addestramento in tal senso, all’acquisizione di nuovi/ulteriori sistemi d’arma di tipo pesante per l’esercito (Mbt e artiglieria), al potenziamento dello strumento aereo, alla capacità di interdizione e attacco marittima, e al mantenimento di un’elevata prontezza operativa – il che richiede che tutte le unità siano alimentate al 100% con personale pronto a muovere.
Il sostegno militare dei Paesi della Nato e partner a Kiev, poi, ha mostrato sia le carenze delle scorte di munizioni ed altro equipaggiamento sia i limiti dell’industria bellica, che a fatica riesce a sostenere i ritmi imposti dalla guerra. Pertanto questo conflitto sta mutando le politiche industriali di alcuni Paesi occidentali, da troppo tempo abituati a una condizione di “pace” che erroneamente si pensava duratura, o comunque essere una condizione quasi perpetua in prossimità dei propri confini.
Il ritorno della competizione tra Stati
L’invasione russa dell’Ucraina ha infatti mostrato che il paradigma di riferimento nell’escalation dei rapporti tra Stati, ovvero il modello “competizione-crisi-conflitto”, sebbene sia obsoleto, è ancora possibile nonostante l’introduzione del concetto di “concorrente” che spiega a livello macro quanto sta accadendo in Europa e in altri scacchieri mondiali. I rapporti tra potenze globali (e relative alleanze) sono passati a uno stato di “competizione duratura” (continuum competition), ovvero di tensione internazionale permanente in cui diventa sempre più complesso tutelare i propri interessi, che può anche sfruttare attori minori, secondari o partner. Questa situazione è destinata a perdurare e acuirsi in futuro generando una ricorrente instabilità (pervasive instability) contraddistinta da fenomeni imprevedibili e dinamici, spesso con azioni condotte nella “zona grigia” (gray zone) e quindi al di sotto del livello di innesco di un conflitto aperto. I concetti di “competizione duratura” e “ricorrente instabilità” non sono del tutto nuovi: circolano negli ambienti della Difesa da tempo.
La guerra in Ucraina ha anche riproposto l’importanza dei sistemi unmanned non solo espressamente costruiti per le forze armate: piccoli droni facilmente reperibili in commercio sono stati usati per la ricognizione sul campo, per dirigere il tiro di artiglieria e anche come strumenti di attacco al suolo improvvisati montando artigianalmente piccole bombe di mortaio o Rpg (Rocket Propelled Grenade). Qualcosa che si era già visto nel teatro siriano ma che si pensava fosse limitato ai conflitti asimmetrici.

Sono state fatte anche importanti valutazioni dello strumento aereo in considerazione dell’attività di soppressione/distruzione delle difese aeree nemiche effettuata dalla Vks (Vozdushno-Kosmicheskiye Sily), che hanno dimostrato – soprattutto per via della dottrina russa di impiego dell’aviazione – l’importanza del decentramento, l’efficacia dei sistemi standoff, e la necessità di limitare l’uso di moderni vettori di precisione per mantenere la capacità di deterrenza.
Ancora una volta è apparsa evidente la caratteristica “multidominio” di un conflitto, in quanto le operazioni militari vere e proprie sono state anticipate da attacchi cibernetici e da una pesante campagna di disinformazione (dominio informativo), senza dimenticare la centralità dello spazio come evidenziato dall’assistenza fornita all’Ucraina da partner occidentali civili e militari nei settori delle comunicazioni, navigazione e intelligence.
La fine dell’illusione unipolare
Passando a un’analisi politica, la guerra ha sancito la fine dell’illusione dell’unipolarismo. La Russia ha avviato il conflitto declinando in modo hard la contestazione delle regole del diritto internazionale (ritenute dal Cremlino plasmate dall’Occidente per proprio tornaconto) per i propri interessi strategici. La stessa visione è declinata in modo soft – per ora – dalla Cina che comunque osserva con vivo interesse quanto sta accadendo in Ucraina perché avrà riflessi nel suo futuro agire all’interno dello scacchiere del Pacifico Occidentale.
Da ultimo il conflitto ha evidenziato come i metodi sanzionatori in ambito commerciale ed economico sono solo parzialmente efficaci per erodere il potenziale bellico di una nazione che può contare su vaste risorse, e soprattutto se protratti per lungo tempo, permettono una rimodulazione del tessuto economico avversario e la ricerca di canali di approvvigionamento alternativi per i beni necessari colpiti da embargo; infine la stessa capacità di deterrenza delle sanzioni appare del tutto inefficace se si considera che la Russia non ha abbandonato l’idea di attaccare l’Ucraina nonostante la minaccia di ulteriori pesanti sanzioni dopo quelle elevate nel 2014.
Vogliamo però concludere questa trattazione, per una volta, con un aspetto umano: la guerra in Ucraina ci ha insegnato ancora una volta che, nonostante i missili ipersonici, i droni, l’intelligenza artificiale, la guerra elettronica e tutto quanto di più moderno e “asettico” possa essere schierato da un esercito, un conflitto è ancora un affare di uomini che combattono sul campo, e che l’uomo, oltre a essere la risorsa più preziosa per un esercito, è anche il fattore capace di generare le più efferate violenze anche senza l’uso di strumenti bellici avveniristici.