Quando verrà scritta la storia della guerra in Ucraina e del supporto garantito da Washington a Kiev non si potrà non menzionare il ruolo di primo piano giocato dal consigliere per la Sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan, definitoil timoniere del conflitto e di tutto il resto” da Ivo Daalder, ex ambasciatore americano alla Nato. Il quarantaseienne cresciuto in una famiglia di origini irlandesi nel Minnesota è infatti il sostenitore numero uno di Kiev nella squadra del presidente Joe Biden. Lo è anche ora che il fronte occidentale mostra segni di cedimento rispetto ai mancati progressi sul campo della controffensiva ucraina

Il più giovane consigliere per la Sicurezza nazionale dai tempi della guerra del Vietnam ha cominciato la sua carriera politica sotto l’ala della senatrice democratica Amy Klobuchar la quale nel 2008 gli apre le porte di Washington presentandogli Hillary Clinton. Dopo la sconfitta alle primarie del partito dell’asinello, l’ex first lady, nominata da Barack Obama come segretario di Stato, chiama accanto a sé il giovane Sullivan il quale la accompagna in missioni in 120 Paesi. Dopo le dimissioni di Clinton, entra nel “cerchio magico” di Biden come consigliere per la Sicurezza nazionale dell’allora vicepresidente.  

Per entrambi i suoi padrini politici Sullivan è un uomo dal talento e dall’intelletto unici. Non a caso il vecchio Joe gli affida nel 2021 la Sicurezza nazionale creando insieme al segretario di Stato Antony Blinken e al segretario alla Difesa Lloyd Austin uno dei team di politica estera più coesi degli ultimi anni che, almeno in pubblico e sino ad ora, gestisce i complicati dossier delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente senza drammi e sovrapposizioni.  

Il battesimo del fuoco per Sullivan arriva nell’estate del 2021 con il ritiro disastroso delle truppe americane dall’Afghanistan. Una debacle per l’amministrazione Biden di cui verrà accusato anche il consigliere per la Sicurezza nazionale. Secondo i suoi più stretti collaboratori le critiche hanno lasciato segni sul giovane funzionario famoso per essere un “secchione” stakanovista che non conosce orari. A tal proposito il New Yorker in un lungo articolo a lui dedicato ricorda la recente irruzione di un intruso avvenuta nel cuore della notte nell’abitazione di Sullivan e scoperta dallo stesso consigliere ancora impegnato a lavorare. 

Se il fulmineo ingresso dei talebani a Kabul sembra cogliere di sorpresa l’assistente di Biden, lo stesso non accade con la minaccia russa. “Non mostrarti troppo interessato a lavorare con Vladimir Putin. Non dedicargli troppe attenzioni e non accettare il suo invito ad un incontro di alto livello”. Questo è il consiglio affidato ad Obama da Clinton nel 2013 prima di lasciare Foggy Bottom, una messa in guardia nei confronti dello zar frutto dei suggerimenti ancora più duri stilati da Sullivan per conto del suo capo.  

Sull’Ucraina il consigliere non ha dubbi e dichiara che “ci sono pochi conflitti, forse nessuno, nell’era post-Guerra fredda dove è così chiaro chi siano i cattivi e chi i buoni e noi dobbiamo fare di tutto per aiutarli”. E in effetti nessuno mette in discussione come l’aiuto americano a favore di Kiev rappresenti il più grande programma di assistenza Usa dal 1945. Ai giornalisti che gli chiedono se quella nell’Europa dell’est sia una guerra per procura Sullivan risponde che “gli ucraini non stanno combattendo la Russia al posto degli Stati Uniti. Stanno lottando per la loro terra e per la loro libertà. Per me l’analogia più rappresentativa della situazione è quella del supporto fornito da Washington a Londra” nella lotta contro i nazisti prima degli attacchi di Pearl Harbor. 

Nell’ufficio del consigliere campeggia una grande mappa dell’Ucraina costantemente aggiornata con i progressi sul campo. A lui Biden ha affidato il compito di mantenere il fronte unito con gli altri partners della coalizione occidentale. La conoscenza del conflitto da parte di Sullivan è impressionante: è sempre in contatto con Andriy Yermak, il capo di gabinetto del presidente Volodymyr Zelensky, e la scorsa primavera durante la battaglia di Bakhmut era a conoscenza dello stato dei combattimenti isolato per isolato.  

Nell’agenda di Sullivan non c’è però solo l’Ucraina. Il consigliere per la Sicurezza nazionale, nelle ultime settimane nell’occhio del ciclone per aver minimizzato i rischi alla stabilità del Medio Oriente prima del 7 ottobre, è impegnato a gestire le ricadute del conflitto tra Israele e Hamas che minaccia di estendersi all’Iran. Il fronte del Pacifico poi con la crescente aggressività cinese nei confronti di Taiwan non permette distrazioni. “È il mio lavoro preoccuparmi e così lo faccio letteralmente per ogni cosa” ha detto una volta il politico del Midwest. Di questi tempi i motivi per cui essere preoccupato non gli mancheranno di certo.

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