La lunga e misteriosa assenza dalle scene del giovane leader nordcoreano sembra aver lasciato immutata la linea politica che balza agli occhi dopo appena una settimana dal suo “ritorno” alla vita. Kim Jong un è tornato, e i suoi obiettivi sembrano essere sempre gli stessi. Così nuove tensioni si profilano all’orizzonte.

Nei giorni scorsi i satelliti puntati sulla Corea del Nord hanno notato il frutto dell’operosità silenziosa che i lavoratori del regime hanno sempre tenuto in auge – anche mentre gli occhi del resto del mondo leggevano frettolosi necrologi sul Maresciallo Kim. Foto satellitari hanno mostrato infatti la costruzione di una nuova base missilistica alle porte della capitale, precisamente a Sil-li, in prossimità all’aeroporto internazionale. Questo stravolgimento mostrerebbe come i negoziati per il disarmo di Pyongyang e lo smantellamento del programma missilistico rischino di tornare indietro di mesi se non di anni. Gli occhi indiscreti del cielo – gli stessi che avevano individuato il treno blindato del leader fermo davanti alla sua residenza privata di Wosan, dubitando della sua morta – si sono orientati su grandi hangar e silos sotterranei che potrebbero ospitare i missili balistici più pericolosi dell’arsenale di Kim. Il sito potrebbe inoltre essere collegato da una rete di gallerie sotterranee alle fabbriche che “assemblano” i missili nei dintorni.

L’analisi delle foto satellitari condotta dal Centre for Strategic and International Studies di Washington e dagli analisti Jane’s hanno concluso che le dimensioni delle installazioni indicano che la nuova base sarà armata con missili Hwasong-15: ossia i missili intercontinentali che nel 2017 hanno portato le tensioni internazionali ai massimi livelli, e che possono colpire obiettivi siti ad oltre 10mila chilometri di distanza – dunque anche l’America continentale.

L’incontro storico tra Kim Jong-un e presidente americano Donald Trump aveva lasciato sperare nella ferma intenzione di voler voltare pagina da parte del leader nordcoreano, che sembrava disposta a congelare il programma missilistico in attesa del vertice di Hanoi, che invece si concretizzò in un fallimento.

Da allora un lungo impasse senza data di scadenza è stato mantenuto da entrambe le parti. In seguito diverse crisi mondiali, comprese le gravi tensioni tra gli Stati Uniti e l’Iran, e la pandemia scatenata dal virus Sars-Cov-2, hanno portato al declassamento dei dossier nordcoreani che aspettavano sulle scrivanie di Washington, insieme alle decisioni da prendere in merito, destinate a date da definirsi. Del resto secondo gli analisti la base non sarà “operativa” prima del 2021. C’è “tempo”, anche se a quel punto, come sostiene Guido Santevecchi sul Corriere della Sera, “il potere contrattuale di Kim” sarà maggiore. Maggiore, ma non diverso, provenendo sempre dalle sue armi di distruzione di massa pronte ad essere puntante sulla Corea del Sud, o sulle basi strategiche americane del Pacifico.

Anche la fase di distensione con la Corea del Sud, scandita da numerosi passi in avanti e abbandono delle ostilità simboliche che si perpetravano lungo il 38° parallelo – come il ritiro delle batterie di artiglieria pesante o la smobilitazione di famosi altoparlanti ad altissimo volume che diffondevano messaggi di propaganda – sembra essere a rischio. Le recenti manovre militari sudcoreane sono state definite dall’agenzia di stato nordcoreana Kcna una “grave provocazione” alla quale dare “una risposta”. Risposta che potrebbe compromettere anche lì i progressi per la pace tra i due paesi divisi, che continuano a registrare “scaramucce” lungo la zona demilitarizzata (Dmz). È di pochi giorni fa la notizia che delle raffiche d’armi da fuoco sono state “scambiate” tra due postazioni poste a protezione dei rispettivi confini.

Nel campo della politica estera il Maresciallo Kim – che si sospettava addirittura essere rimasto contagiato dal Covid-19 – ha deciso di riattivare subito una linea diretta con il presidente cinese Xi Jinping, inviandogli un “messaggio verbale” (secondo quanto riportato da Kcna) per “congratularsi del successo di Pechino contro la diffusione dell’epidemia di coronavirus”.

Per il leader nordcoreano, che potrebbe aver ricevuto una visita da un team di medici cinesi inviati proprio nelle scorse settimana in Corea del Nord, si tratta di una “vittoria contro l’epidemia senza precedenti” ottenuta “controllando strategicamente e tatticamente la situazione complessiva alla guida del partito e del popolo cinese”. Questo attestato di stima potrebbe essere anche collegabile agli “aiuti” inviati da Pechino, che ha confermato l’invio di kit per il test del coronavirus in Corea del Nord – nonostante Pyongyang abbia sempre dichiarato che non si sono mai registrati casi di contagio nel Paese. Insomma, segreti, missili, notizie di propaganda e segnali d’amicizia con la Repubblica Popolare Cinese: qualcuno direbbe “Nulla di nuovo sul fronte orientale”.