Il Giappone sta tornando ad essere un attore militare importante. E lo sta facendo anche se i tentativi del premier Abe Shinzo di abrogare l’Articolo 9 della Costituzione, che fissa il vincolo pacifista per Tokyo, non hanno finora avuto successo.

Settant’anni di depotenziamento militare e strategico hanno portato il Giappone ad appaltare agli Stati Uniti la propria sicurezza in cambio dello sdoganamento delle forze economiche del Paese. Ma col tempo i venti della globalizzazione hanno portato con sé un mondo inquieto, foriero di sfide e problematicità, mentre gli interessi di Tokyo e dell’egemone di oltre Pacifico andavano via via divergendo in diversi scenari concernenti i commerci globali e gli equilibri asiatici.

Il primato aeronavale

Il Giappone spende ormai circa l’1,1% del suo Pil per il suo apparato militare (ufficialmente denominate “forze di autodifesa”), che date le dimensioni della sua economia lo rendono uno dei più grandi imprenditori militari del mondo. È stata soprattutto la vertiginosa ascesa cinese a preoccupare Tokyo e a spingere il governo Abea un cambio di passo. Superando sul campo l’eredità del secondo conflitto mondiale, al cui termine il dinamismo militare e l’espansionismo nipponici furono castrati dagli Alleati vincitori.

E sul solco della tradizione è il campo aeronavale a rappresentare il primo campo d’interesse. A maggio durante la sua visita ufficiale in Giappone, il Presidente statunitense Donald Trump ha confermato che Tokyo acquisterà 105 caccia multiruolo stealth di quinta generazione nelle varianti F-35A/B Lighting II, portando a 146 i Joint Strike Fighter posseduti da Tokyo, seconda flotta dopo quella a stelle e strisce. Acquistare gli F-35 serve a Tokyo per armare i nuovi fiori all’occhiello della sua flotta militare, la Js Izumo e la Js Kaga, navi moderne da 27mila tonnellate che diventeranno le prime portaerei possedute da Tokyo dal 1945 ad oggi. Esse, scrive Sicurezza Internazionale, “nei loro primi tre anni di servizio, hanno trasportato elicotteri progettati per la guerra antisottomarino. Queste, secondo i documenti del Ministero, avranno bisogno di avere i ponti rinforzati per ospitare gli aerei di produzione americana, perché maggiori in calore e forza di propulsori ma anche più pesanti”. Per questo il programma congiunto aeronavale è stato spalmato su un piano d’azione decennale.

Tokyo fa sul serio

L’integrazione aeronavale risulta fondamentale per rafforzare l’operatività delle Forze di Autodifesa e il sostegno agli obiettivi geopolitici di Tokyo. Attualmente il comparto marino di Tokyo è secondo solo a quello americano nel Pacifico e potrebbe avere ragione anche dell’arrembante flotta cinese.

Per il 2020 il Giappone ha previsto l’ottavo aumento consecutivo del budget delle sue forze armate, portandolo fino a 48 miliardi di dollari (5,3 trilioni di yen) e intende, stando alle parole di Abe, rispondere a quelle che ritiene essere le minacce più precipue alla sicurezza nazionale: l’attivismo cinese da un lato, la mina vagante nordcoreana dall’altro. Un aumento del 2,1% del budget dunque verrà incontro alle ragioni strategiche dei decisori nipponici, rafforzerà l’orgoglio nazionale dei conservatori della potente società Nippon Kaegi ed esalterà l’industria militare nazionale.

I contratti più importanti, però, saranno perfezionati negli Stati Uniti, dato che Tokyo intende acquistare dei sistemi missilistici a controllo radar basati a terra “Aegis Ashore” (Lockheed Martin) assieme a un sistema a lungo raggio Rayethon Sm-3 per sviluppare missili intercettori contro vettori balistici nemici. Tutto questo per supportare le rinnovate capabilities difensive e offensive aeronavali.

Tutto questo testimonia come Tokyo veda il teatro pacifico come estremamente competitivo e non voglia affatto sottrarsi alla corsa alla superiorità strategica, da acquisire sia in concerto con gli alleati (Usa, India, Australia) che col massimo grado di capacità autonoma. Questo sul lungo periodo rafforzerà anche il capitale politico di cui Tokyo gode e la sua capacità di proiezione: la clausola pacifista e la catartica astensione dalla geopolitica dell’ultimo settantennio sono state già superate sul campo.