Era il marzo del 2015 quando miliziani armati e barbuti si facevano ritrarre festanti all’interno di Idlib. É stato quello forse l’evento spartiacque della guerra in Siria. Il governo di Damasco ha avuto infatti nuovamente la percezione, come tre anni prima, di essere sul punto di crollare. Idlib non è una località qualsiasi. Si tratta del capoluogo dell’omonima provincia, la cui posizione è strategica: povera sì di risorse, ma confinante con una Turchia da cui ancora oggi affluiscono soldi, uomini e rifornimenti per i gruppi di opposizione al presidente Bashar Al Assad. Da allora la Siria ha iniziato a chiedere maggior aiuto all’alleato russo e Putin nel settembre successivo ha inviato i propri uomini. Oggi Idlib è l’unica grande città controllata dall’opposizione, la quale da queste parti è formata soprattutto da estremisti islamici. E potrebbe diventare nuovamente centrale nel conflitto, intrecciando il dossier siriano con quello ucraino.
L’emirato instaurato a Idlib
Quando si pensa a gruppi terroristici che si trasformano in “forza di governo” in territori da loro controllati, il primo riferimento indubbiamente va all’Isis. Tra il 2014 e il 2019 le bandiere nere agli ordini del “califfo” Al Baghdadi hanno dato vita a uno Stato Islamico esteso tra Siria e Iraq, con Raqqa e Mosul come capitali. Un califfato poi crollato sotto la spinta dei russo/siriani a ovest e della coalizione internazionale a guida Usa a est, oltre che con gli sforzi dell’esercito iracheno e delle milizie, soprattutto sciite, nel nord dell’Iraq. Ma a Idlib c’è un altro esempio di estremismo islamico diventato “governo”. A prendere in mano la provincia nel 2015 sono stati infatti gli uomini del Fronte al Nusra, guidati dal fondatore del gruppo, Abu Muhammad al-Jawlani. Al Nusra altro non è che la costola siriana di Al Qaeda. Quando nel 2011 sono esplose le proteste contro Bashar Al Assad, i suoi esponenti hanno subito colto la palla al balzo. Non senza il benestare della Turchia di Erdogan, desiderosa di veder crollare un governo sciita alleato dell’Iran a Damasco. E non senza il consenso anche di un occidente tanto spregiudicato quanto imprudente, anch’esso desideroso di non vedere più Assad al potere.
Ad Al Nusra si è unito il gruppo di Al Qaeda in Iraq, gli eredi di Al Zawahiri, il tagliagole giordano ucciso nel 2006. Un gruppo che poi Al Baghdadi ha trasformato nello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, noto poi con l’acronimo di Isil o Isis. Le due fazioni tra il 2013 e il 2014 sono entrate in contrasto. Al Jawlani non ha accettato il disegno di “fusione” con l’Isis promosso da Al Baghdadi. Dopo gli scontri interni alla galassia jihadista, Al Nusra è andata per la propria strada e grazie ai rifornimenti dall’estero ha preso piede a Idlib. Da qui non se n’è più andata e ha dato vita a un altro califfato. Più piccolo, meno tenuto in considerazione, ma non per questo meno pericoloso.
Al Nusra ha di fatto preso possesso di un territorio di cinque milioni di abitanti. Per rendersi più “presentabile” agli occhi dell’occidente il gruppo ha più volte cambiato nome. Oggi si chiama Tahrir Al Sham e, a parole, ha preso le distanze da Al Qaeda. Gli ideali e il modo di governare però sono sempre gli stessi. Non sono poche le testimonianze che arrivano da Idlib in cui si parla di divieto di bere alcolici, di fumare, di ascoltare musica. Divieti fatti applicare con la forza, a volte anche con la morte. Quando nel 2020 l’esercito siriano ha compiuto l’ultima grande avanzata verso Idlib, dove con l’aiuto di Mosca è riuscito a strappare circa un terzo della provincia agli islamisti, ha trovato cartelli dove venivano indicati i divieti. Di economia ufficiale non ce n’è: l’emirato si regge sul contrabbando e sugli aiuti turchi, i quali nella provincia mantengono, dopo gli accordi negli anni passati con la Russia, punti di osservazione e in alcuni distretti hanno propri uomini o proprie milizie a controllare il territorio.
Perché Idlib potrebbe diventare di nuovo importante
Come riportato da Michele Giorgio su IlManifesto, diversi analisti e studiosi del conflitto siriano sono convinti che Tahrir Al Sham abbia come obiettivo quello di accreditarsi ulteriormente agli occhi dell’occidente. “Al Jawlani scommette sulla preoccupazione della Russia per la guerra in Ucraina – si legge in dichiarazioni attribuite ad alcuni comandanti locali – Vuole cambiare l’opinione internazionale per essere sostenuto militarmente contro la Russia che combatte a fianco del regime di Damasco”. L’occasione per il fondatore di Al Nusra è del resto molto ghiotta: sa bene che Mosca è distratta dalla guerra nel Donbass e potrebbe non sostenere con l’intensità vista dal 2015 in poi l’alleato Bashar Al Assad. Quindi Al Jawlani potrebbe attaccare l’esercito siriano e presentarsi come difensore degli interessi occidentali contro la federazione russa.
Del resto lui stesso nel 2015, poco dopo la conquista di Idlib, in un’intervista su Al Jazeera aveva espresso l’intenzione di non fermarsi al nord della Siria ma di puntare su Damasco e instaurare un emirato siriano. Negli anni si è dovuto tenere sulla difensiva, ma ora potrebbe riprendersi la rivincita. E infatti nei discorsi pubblici, Al Jawlani ha iniziato a parlare anche di lotta contro i gruppi più estremisti. “Cerca di presentarsi al mondo – ha detto su Al Monitor l’analista Ahmed Rahal – come leader di un governo moderato che tenga conto degli interessi di tutti nella regione”. Un modo per avere i riflettori e ottenere ciò che gli serve per il suo progetto: scalzare Assad o, in alternativa, estendere il suo raggio d’azione nel nord della Siria. Un rischio per l’occidente. Al Jawlani potrebbe infatti accreditarsi in tal modo anche alle folle estremiste, espandendo le sue idee e la sua visione islamista fuori dai confini siriani.