La gestione di un dopoguerra è forse più difficile della gestione stessa di una guerra. Sia che dal conflitto si esca vincitori oppure vinti. Terminati i combattimenti, viene meno il collante dato dalla lotta contro il nemico comune. Il tutto in un territorio dove, tra le altre cose, circolano molte più armi e dove l’economia è seriamente compromessa.

È per questo che si parla, per il futuro dell’Ucraina, di uno “spettro libico”. Nelle prime settimane dopo l’attacco russo iniziato nel febbraio 2022, il termine maggiormente usato era quello di “balcanizzazione”. Si pensava cioè, in caso di sconfitta di Kiev, a uno spacchettamento del territorio ucraino. Oggi la tenuta del Paese, almeno nella maggior parte delle province controllate, non sembra essere messa in discussione. Ma, proprio come in Libia, questo potrebbe non coincidere con un’immediata pacificazione. Anzi, l’Ucraina potrebbe assistere a un repentino frazionamento del suo quadro politico e sociale.

Foto: EPA/OLEG PETRASYUK

In cosa consiste lo scenario libico

La guerra civile contro Gheddafi in Libia non ha cambiato la geografia. Se si osserva una qualunque cartina, la Libia è ancora lì con gli stessi confini che aveva già nel 1951, anno dell’indipendenza. Ma dentro quel territorio, uno Stato di fatto non esiste. Il territorio oggi è controllato da una miriade di fazioni e gruppi che impediscono a un qualunque governo di controllare la situazione.

In Ucraina è possibile ravvisare questo stesso pericolo. Terminata la guerra, uno Stato ucraino continuerà a esistere. Il problema è capire se le sue istituzioni saranno o meno in grado di gestire il territorio. Del resto, l’Ucraina era, già prima della guerra, un Paese poco stabile. La storia parla chiaro: dal 2004 in poi, è stato un susseguirsi di elezioni contestate, proteste di piazza, accuse trasversali di corruzione, sospetti di un uso strumentale degli apparati di sicurezza e della magistratura. A questo occorre aggiungere anche lo strapotere di pochi ma ben influenti oligarchi. Lo Stato ucraino, in poche parole, è rimasto costantemente in balia di specifici interessi economici, sociali e politici.

Tutto questo è stato parzialmente bloccato dall’azione bellica russa. Ed è forse qui ravvisabile il più grande e grave errore strategico della carriera politica del presidente russo Vladimir Putin. Al Cremlino si pensava, a torto, che subito dopo il primo raid l’intero instabile apparato politico ucraino sarebbe collassato. Al contrario, la guerra è servita e sta servendo da collante. L’Ucraina si è chiusa a riccio attorno a Kiev, militarmente e politicamente, e questo ne ha garantito la sopravvivenza. Ma finiti i combattimenti, cosa accadrà?

Mappa di Alberto Bellotto

Lo spettro di una guerra tra bande

Il primo problema ravvisato in Libia, ha riguardato la circolazione di una grande quantità di armi. Nel Paese nordafricano la rivolta di clan, tribù e singoli gruppi contro Gheddafi ha riempito gli arsenali di molte fazioni. Un po’ per il contrabbando dall’estero e un po’ per la presa di possesso delle basi appartenute al rais. A Kiev non c’è una rivolta contro il proprio governo ma, al contrario, c’è una guerra contro l’esercito di un altro Stato. Ma il risultato sembra lo stesso: in tutta l’Ucraina sono state messe in circolazione migliaia di armi. Non si tratta solo di quelle “ufficiali” donate dagli alleati della Nato, bensì di quelle arrivate tramite il mercato nero oppure semplicemente possedute da singoli cittadini.

Nei primi giorni di guerra, il presidente Zelensky ha autorizzato la distribuzione di armamenti a tutti i volontari e a tutti coloro che volevano contribuire alla difesa del Paese. A guerra terminata, disarmare chi ha potuto imparare a maneggiare armi importanti sarà molto difficile. Con il rischio, ben concreto, che fucili, pistole e mitra andranno poi a comporre gli arsenali di gruppi più o meno organizzati. Potrebbero sorgere bande che si contenderanno il controllo di pezzi del territorio ucraino. Oppure si potrebbe assistere all’ascesa di clan già oggi operativi nel mondo della criminalità organizzata.

Il timore è presente già oggi. In diverse città raggiunte solo parzialmente dal conflitto, la percezione della sicurezza tra i cittadini è notevolmente diminuita. Molte persone non si fidano a uscire la sera a Odessa, nella stessa Kiev, a Leopoli o in altri grossi centri del Paese. La gente è consapevole di girare in città dove la povertà è notevolmente aumentata e dove, soprattutto, ci sono molte più armi a disposizione.

Attivisti e militanti del battaglione d’Azov Foto: EPA/SERGEY DOLZHENKO

La possibile nuova ascesa dei nazionalisti

Forse le analogie con la Libia terminano qui. Ma il timore di uno scenario libico in Ucraina è alimentato da altri potenziali fattori di destabilizzazione. C’è infatti un dato politico che inquieta e non poco l’attuale leadership di Kiev: riguarda una nuova eventuale avanzata dei nazionalisti. In Ucraina ben ricordano lo choc politico dato dal 10% ottenuto da Svoboda alle elezioni del 2012. Nel Paese in quel momento non era ancora esplosa la protesta di piazza Maidan, né era ancora iniziata la guerra nel Donbass. Eppure Svoboda, una delle formazioni più nazionaliste del panorama ucraino, ha ottenuto un risultato dalla doppia cifra percentuale. Un successo, a onore del vero, ridimensionatosi subito dopo Maidan. Il timore è però che l’aggressione russa possa aver ridato linfa alla retorica nazionalista.

Se a questo si aggiunge l’aggravamento della situazione interna all’Ucraina dovuta alla guerra, lo spettro di un’avanzata dei nazionalisti non è così remoto. In caso di vittoria di Kiev nel conflitto, i gruppi più estremisti potrebbero rivendicare il loro contribuito e chiedere maggiore spazio politico. In caso di sconfitta, il malcontento popolare potrebbe dare loro molti più consensi e molta più influenza nelle stanze del potere ucraino.

Foro: Federico Quintana/SIPA

Un Paese più povero

La storia è piena di esempi dove una povertà diffusa post bellica coincide con un maggior malcontento popolare e, contestualmente, con una minor forza degli apparati politici. Se da un lato è vero che già oggi si parla di ricostruzione, è altrettanto vero che futuri investimenti nel Paese avranno delle ripercussioni positive solo nel lungo termine. Nell’immediato, subito dopo il conflitto, il serio rischio è quello di assistere a una frammentazione della società, accentuata da un’economia condizionata dalla distruzione causata dalla guerra.

In Libia l’aspetto economico è quello che ha destato minori preoccupazioni. Il Paese ha potuto continuare a sopravvivere grazie alle rendite e ai proventi dati dalla vendita di petrolio. L’Ucraina, al contrario, per tornare a esportare e ad avere propri introiti, dovrà ricostruire il proprio apparato produttivo e riconvertire l’economia, passando da un’economia di guerra a una di pace. Si tratta di processi che richiedono del tempo. E nel frattempo il Paese rischia il collasso. Tanto più veloce sarà la ripartenza del sistema economico ucraino, tanto minore sarà il rischio di vedere la realizzazione degli scenari più foschi.

Il rischio dato dallo spegnimento dei riflettori

Oltre a una stagione di ritrovata unità nazionale, la guerra ha portato all’Ucraina un’inedita esposizione mediatica. Ed è forse questa la variabile che potrebbe entrare in gioco anche a conflitto terminato. Il Paese, per non cadere nell’abisso, ha bisogno di importanti riforme sia politiche che economiche. Riforme volte ad annullare non solo i danni della guerra, ma anche le storture di un sistema con limiti ben evidenti negli anni pre bellici.

Se i riflettori, una volta accantonate le armi, dovessero rimanere puntati sull’Ucraina, forse Kiev avrà maggiore interesse a mettere in campo gli strumenti necessari per la sua ricostruzione fisica e morale. Ci sarà infatti una forte pressione affinché il mondo non assista alla caduta di un Paese rifornito e aiutato dall’occidente. Diversamente, se al silenzio delle armi si affiancherà anche quello mediatico, la pressione su Kiev verrà meno e, lontana dai riflettori, l’Ucraina potrebbe andare più facilmente verso la deriva.