“Vogliamo raccontare i drammi senza fine del Congo, una terra tormentata da gruppi armati anche di matrice islamista, depauperata dallo sfruttamento delle risorse minerarie, travolta da epidemie e da sfide che riguardano tutti noi. Vogliamo farlo attraverso lo sguardo di chi da anni si occupa di questo Paese: il fotografo Marco Gualazzini e il giornalista Daniele Bellocchio.
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In estate, mentre gli Usa evacuavano i propri militari dall’Afghanistan, è partita una nuova missione statunitense. Obiettivo questa volta è la Repubblica Democratica del Congo, Paese africano devastato da anni di guerre e conflitti. Washington, secondo quanto previsto da un trattato di cooperazione siglato con il governo di Kinshasa nel 2019, ha risposto alla chiamata del presidente congolese Felix Tshisekedi, inviando esperti militari nel cuore dell’Africa. Il motivo è dato dall’ingombrante presenza dell’Adf, il movimento terroristico ugandese operativo però nelle province orientali del Congo e adesso cellula locale dell’Isis. Per comprendere, a distanza di mesi, come sta andando la missione, occorre proprio partire dalla situazione che c’è oltre confine, in quell’Uganda ancora oggi alle prese con il terrorismo.

Ugandesi presenti nel territorio congolese

L’Adf rappresenta un problema per molti nella regione. La geografia del North Kivu, con le sue foreste poco controllabili e i confini molto porosi, è il rifugio ideale per decine di organizzazioni criminali e cellule terroristiche. Si calcola che in questa provincia siano attualmente attivi 120 gruppi armati. L’Adf è quello meglio armato o comunque più temibile. Nato in Uganda nel 1995, è stato respinto dall’esercito di Kampala nei primi anni 2000 verso il Congo. Qui ha compiuto, secondo diversi rapporti delle Nazioni Unite, crimini e saccheggi. Fino poi ad organizzare attentati in nome dell’Isis, convertendosi quindi all’islamismo radicale. Le forze di Kinshasa da sole non sono in grado di riprendere il controllo della regione. Di fatto gli unici gruppi del governo centrale presenti nel North Kivu sono quelli dei Rangers dei grandi parchi. Da qui l’aiuto chiesto dal presidente Tshisekedi agli Stati Uniti. Dalla Casa Bianca l’autorizzazione è arrivata per una missione di addestramento delle truppe locali. Inoltre sono stati inviati esperti anti terrorismo per consigliare al governo di Kinshasa le strategie da attuare.

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CAUSALE: Reportage Congo
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Ad agosto l’ambasciatore Usa in Congo, Mike Hammer, ha parlato di “alcune settimane” di intervento. Poi si è saputo poco o nulla. Gli esperti inviati da Washington dovrebbero essere ancora nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo. Ma la missione è avvolta nel più stretto riserbo. Anche perché le condizioni di sicurezza al momento appaiono deteriorate. Non solo nel North Kivu, ma anche in Uganda. La capitale Kampala è stata sconvolta il 16 novembre scorso da due attacchi terroristici che hanno ucciso almeno sei persone. L’Isis ha rivendicato l’azione e lo sguardo delle autorità locali è stato rivolto subito all’Adf. Il presidente ugandese Museweni aveva promesso una risposta immediata e ad inizio dicembre truppe ugandesi hanno attraversato il confine. Diversi i video sui social che mostrano truppe inviate da Kampala marciare nei dintorni di Beni, città vicina alla frontiera. Una mossa preceduta da bombardamenti aerei sempre dell’Uganda contro postazioni dell’Adf. La missione ugandese è stata concordata con il governo di Kinshasa. Quest’ultimo ha ancora una volta mostrato la necessità di interventi stranieri per combattere i gruppi terroristici. Tra consiglieri militari statunitensi e soldati di Museweni, il North Kivu ha adesso l’aspetto di una caserma a cielo aperto. Ma l’Adf, assieme alle altre fazioni presenti, appare ben lungi dall’essere sconfitto.

La strategia Usa

Washington sta quindi operando in un terreno molto delicato, contrassegnato da presenze terroristiche ben organizzate e da incursioni di eserciti stranieri. Se la missione Usa sta proseguendo nel riserbo, la strategia della Casa Bianca appare molto chiara. Mettere i piedi nella Repubblica Democratica del Congo vuol dire posizionarsi in un territorio strategico sul fronte energetico. Proprio nel North Kivu sono presenti alcune delle più importanti miniere di cobalto e di terre rare, minerali essenziali per la transizione ecologica e per l’economia statunitense. Gli interessi di Washington appaiono qui molto alti. Nel dicembre 2020, dopo la notizia dell’acquisizione da parte della China Molybdenum della miniera di Kisanfu, la Casa Bianca ha “ammonito” Pechino di non interferire negli affari minerari di propria pertinenza. La miniera in questione infatti era infatti in mano al colosso Freeport- McMoRan.

Più in generale, il Congo rappresenta un presidio essenziale nella corsa alle terre rare. E dopo aver per anni annaspato nei confronti della Cina, oggi gli Usa non vogliono farsi trovare impreparati. Nel North Kivu stanno quindi convergendo due specifici interessi: quello della lotta al terrorismo e quello delle risorse energetiche.