Guerra /

Il sole splendeva nell’azzurro del cielo coreano quell’8 novembre del 1950 quando il tenente Russell J. Brown, pilota dell’Usaf, l’allora neonata aviazione americana, divenne il primo pilota della storia ad abbattere un velivolo in un combattimento tra caccia a reazione.

La guerra di Corea era cominciata da pochi mesi, e le forze aeree della coalizione guidata dall’Onu spadroneggiavano nei cieli della penisola non trovando praticamente nessuna opposizione se non dall’attività della contraerea. Una supremazia che però non sarebbe durata ancora a lungo, perché, poco prima dei fatti che stiamo per raccontarvi, una freccia d’argento era comparsa nell’azzurro cielo della Corea: una freccia con le stelle rosse dipinte sulla fusoliera.

A fine ottobre di quel primo anno di guerra, infatti, stavano cominciando ad arrivare rapporti allarmanti (e allarmati) di piloti che si erano trovati ad incrociare “aerei sconosciuti” molto più veloci: allora, nelle forze aeree della coalizione, si volava sugli F-51 (i Mustang della Seconda Guerra Mondiale), sui Sea Fury, sugli F9F-2 Panther, e sugli F-80, lo Shooting Star che è stato il primo caccia a reazione ad entrare in servizio negli Stati Uniti ed il cui sviluppo è stato portato a termine a tempo di record dalla Lockheed nel 1943, sull’onda dei primi jet costruiti dalla Germania e dal Regno Unito che stavano prendendo parte attiva a quel conflitto (il Messerschmitt 262 ed il Gloster Meteor).

Quella freccia argentata aveva un nome, che divenne epico per i duelli aerei che ingaggiò durante quella guerra con un altro caccia a reazione, più moderno rispetto allo Shooting Star, l’F-86 Sabre. Si chiamava Mig-15 e per una strano scherzo del destino – ma forse il destino c’entra poco e molto invece la miopia politica – la sua partecipazione a quel conflitto non sarebbe forse mai avvenuta se non fosse stato per un inaspettato regalo degli inglesi, che nell’immediato dopoguerra riponevano ancora molta fiducia nell’Unione Sovietica.

Londra, infatti, che allora era all’avanguardia nelle costruzioni aeronautiche soprattutto per quanto riguarda i propulsori, vendette a Mosca come gesto di “buona volontà” un totale di 55 motori a getto della Rolls Royce tra il 1946 e il 1947: i Nene tipo I e II. L’accordo era che i motori non fossero usati per “scopi bellici”, ma l’Unione Sovietica, attraverso procedimenti di retroingegneria messi in atto da Vladimir Yakovlevich Klimov, produsse nella fabbrica numero 45 di Mosca il propulsore a getto Klimov Vk-1 che andò ad equipaggiare proprio i Mig-15 che combatterono in Corea.

Il caccia, con ala a freccia, era pesantemente armato e molto veloce per l’epoca: montava due cannoncini da 23 millimetri ed uno da 37 ed era in grado di volare a 1031 Km/h a 5500 metri di quota.

Sarebbe diventato un incubo per i bombardieri pesanti statunitensi, i B-29 che stavano effettuando una delle campagna di bombardamento a tappeto più pesanti della storia quando il generale Douglas McArthur, ai primi di novembre del 1950, convinse il presidente Harry Truman che per fermare il dilagare delle truppe cinesi in Corea era necessario distruggere i ponti sul fiume Yalu, che segna il confine tra i due Paesi, e le installazioni che sostenevano l’avanzata del nemico. In un disastroso giorno di ottobre del 1951, i Mig riuscirono ad abbattere ben sei Superfortress, ma la supremazia dei piloti sovietici sarebbe durata poco perché sempre più Sabre stavano affluendo in Corea.

Aerei sovietici e piloti sovietici. Perché oggi sappiamo che durante quel conflitto buona parte dei Mig era pilotata da personale sovietico, con qualche cinese e nordcoreano addestrato dai russi.

Mosca, infatti, già a marzo del 1950, quindi prima delle ostilità, aveva trasferito 40 Mig-15 da Kubinka (base aerea nei pressi della capitale russa) alla Cina che andarono a formare, insieme ad altri giunti successivamente, il 64esimo Corpo di Aviazione da Caccia divenuto operativo proprio tra ottobre e novembre.

Ma gli F-86, in quell’inizio di novembre, ancora non erano arrivati in Corea, e soprattutto i duelli aerei si svolgevano ancora (e si sarebbero svolti per tutta quella guerra) come nell’ultimo conflitto mondiale e in quello precedente: a colpi di mitragliatrici e cannoncini.

Guerra di Corea (La Presse)

L’era dei missili aria-aria ancora doveva cominciare: il primo, il celeberrimo Aim-9 Sidewinder, entrò in servizio nel 1956, ovvero tre anni dopo la fine della guerra lungo il 38esimo parallelo. Anche per quanto riguarda quest’arma il destino ha giocato un brutto scherzo “all’Occidente”. Il primo utilizzo in combattimento di missili aria-aria nella storia ci fu il 24 settembre 1958, quando i piloti di Taiwan li schierarono contro i più capaci jet cinesi. I caccia cinesi tipo Mig-17 erano superiori agli F-86 taiwanesi per quanto riguarda le prestazioni, ma il vantaggio si annullò proprio grazie al Sidewinder. Durante un combattimento aereo, però, uno degli Aim-9B che colpì un Mig-17 non esplose ma rimase incastrato nella cellula dell’aereo, consentendo al caccia cinese di tornare alla base con il missile intatto. L’arma fu successivamente passata all’Unione Sovietica dove gli ingegneri, così come fecero per il Rolls Royce Nene, la copiarono determinando la nascita del missile aria-aria R-3, noto anche come K-13 o AA-2 “Atoll” in codice Nato.

Torniamo ora a quel giorno di novembre del 1950. I caccia americani, gli F-80C, erano decollati la mattina per effettuare una missione di mitragliamento di posizioni di artiglieria antiaerea in un aeroporto presso il villaggio di Sinuiju, prima che i B-29 conducessero il loro attacco che sarebbe dovuto avvenire verso mezzogiorno.

Il generale George Stratemeyer, comandante delle forze aeree dell’Estremo Oriente, ordinò una serie di attacchi B-29 contro quattro città nordcoreane lungo il fiume Yalu, in quello che sarebbe diventato, di lì a poco, il “corridoio dei Mig” o “Mig alley”, tra il 4 e il 7 novembre. Tuttavia, il bombardamento di Sinuiju del 7 novembre, aveva dovuto essere posticipato di un giorno a causa del maltempo.

Quella mattina quattro sezioni di quattro F-80C erano decollate per effettuare una missione che avrebbe dovuto essere senza storia, proprio per via della pressoché inconsistente opposizione aerea dell’aeronautica avversaria, che allora volava principalmente sui vecchi Yakovlev Yak-9.

Qui, invece, comincia la nostra storia. Qui il tenente Brown passò alla storia. Brown volava in coppia col maggiore Evans Stephens, comandate dello stormo, e la loro sezione di quattro effettuò il passaggio di mitragliamento per ultima quel mattino. Completata la manovra di attacco i due piloti richiamarono in cabrata sino ad una quota di 20mila piedi (circa 6mila metri) per coprire la seconda coppia, composta dal sottotenente Ralph Giel e dal tenente Richard Escola, nella loro passaggio.

Quando Brown e Stephens raggiunsero la posizione di copertura, in quota, iniziarono a scrutare in tutte le direzioni, alla ricerca della presenza di possibili aerei nemici: quando il gruppo aveva iniziato l’attacco all’aeroporto, quattro caccia Yak erano apparsi sul lato cinese del fiume Yalu, ed ora i due piloti li stavano cercando, ma dei caccia nemici non v’era più traccia.

In quel momento Stephens individuò 12 MiG-15 avvicinarsi alla loro posizione da sud e da una quota più bassa (circa 5400 metri), a gruppi di quattro, ad una distanza di circa 30 miglia dal lato coreano del confine.

A quel punto i piloti americani, dopo aver modificato i reticoli di mira per il combattimento aria-aria, si gettarono nella mischia, esattamente come avveniva durante la Seconda Guerra Mondiale ma ad una velocità molto diversa.

Lasciamo ora che sia lo stesso tenente Brown a raccontare quello che accadde in quella fase inziale del combattimento aereo, il primo tra caccia a reazione, che durò sessanta secondi ma che tanto bastarono a farlo entrare nella storia dell’aviazione.

“In effetti (i Mig n.d.r.) stavano facendo looping e tonneau! Mi sono detto che doveva essere davvero una folle guerra se il nemico può provare figure acrobatiche volando proprio davanti a te! Improvvisamente si è scatenato l’inferno! Stephens mi urlò di rompere a sinistra (virare bruscamente n.d.r.). Un istante dopo due velivoli d’argento luccicante si sono buttati su di me col sole alle spalle. Mentre mi sorpassavano ho dato tutta manetta e mi sono attaccato alla coda di uno di loro, cercando di mettermi in posizione per fare fuoco. Mentre cercavo di avvicinarmi al caccia nemico, il mio F-80 vibrava in malo modo perché stavo oltrepassando la velocità di Mach 0,8 (stava cioè andando in overspeed provocando turbolenze nel flusso d’aria lungo la sua fusoliera e superficie alare, potenzialmente catastrofiche). Quelli erano decisamente dei Mig, e ho potuto dare un’attenta occhiata ai jet comunisti quando abbiamo toccato il fondo (della picchiata n.d.r.) e abbiamo cominciato la richiamata”.

A quel punto, mentre il tenete diceva a sé stesso “dannazione devo beccarlo”, i due caccia si trovavano a una distanza di circa 1000 piedi (300 metri) l’uno dall’altro e sebbene non riuscisse a guadagnare terreno sul Mig-15, Brown prese la mira e sparò una prima serie di colpi. Poi altre tre brevi raffiche. Il tenente non capì se riuscì a colpire il Mig, perché il suo pilota lo capovolse puntando verso il basso in una seconda picchiata.

Brown però non mollò la sua preda. Lo seguì ancora in un tuffo che portò l’F-80C ad una velocità indicata di circa 965 Km/h, la sua velocità massima, che però fu insufficiente a colmare la distanza sul caccia di fabbricazione russa che continuò progressivamente a guadagnare terreno. A quel punto il tenente sparò altre quattro raffiche ravvicinate, e questa volta vide distintamente fiamme rosse uscire dal lato destro della fusoliera del MiG, vicino alla sezione del motore.

Brown allora pensò “o adesso o mai più” e tenne premuto il grilletto sparando quasi tutti i colpi che gli rimasero. Il Mig-15 a quel punto prese fuoco, trovandosi a soli 600 metri dal suolo, ed esplose in una palla di fuoco. Il tenente tirò in fretta l’F-80 fuori dalla sua picchiata mentre l’aereo vibrava pericolosamente per la velocità e l’accelerazione di gravità.

Russel J. Brown era entrato nella storia. Come in tutte le storie di duelli aerei, però, esistono versioni discordanti di quanto accadde quella mattina dell’8 novembre nel cielo coreano. I registri sovietici non riportano la perdita di Mig-15 in quel giorno. Il tenente Kharitonov, della 72esima Unità di Aviazione da Caccia delle Guardie, riferì di essere stato attaccato da un F-80 in circostanze che suggeriscono potesse trattarsi dello scontro riportato da Brown, tuttavia Kharitonov riuscì a eludere il caccia americano dopo essersi gettato in picchiata.

Quello dell’8 novembre potrebbe addirittura non essere il primo combattimento tra caccia a reazione della storia se diamo per buoni i resoconti sovietici: un pilota sempre di Mig-15, il tenente Khominich, anche lui della 72esima Unità delle Guardia, affermò di aver abbattuto un F-80 americano il primo novembre del 1950, ma i registri statunitensi indicano che il caccia era stato abbattuto dal fuoco antiaereo.

Misteri di guerra in un periodo in cui contava più la propaganda e la disinformazione della verità, però possiamo dire almeno che, da parte americana, ci sono due testimoni oculari a confermare l’abbattimento, mentre da parte sovietica esistono solo singoli resoconti non confermati.

Sia come sia, in quei primi giorni di novembre iniziava una nuova era dell’aviazione militare, un’era cominciata ancora utilizzando il cannone e la mitragliatrice e proseguita col missile, che molto probabilmente giungerà alle armi ad energia diretta a poco più di 100 anni da quel primo, traballante volo, effettuato a Kitty Hawk da due visionari.

A noi, al di là dei resoconti di parte, piace però pensare che sia stato il più lento e obsolescente F-80 a vincere una gara impari contro il Mig-15, che dopo pochi mesi diventerà, insieme al già citato F-86 Sabre, il protagonista delle battaglie aeree nella guerra di Corea.





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