Il conflitto nel Tigray è entrato nella sua ultima fase. Mentre scadono le 72 ore dell’ultimatum concesso dal primo ministro Abiy Ahmed, le forze nazionali circondano la città di Mekele. Tuttavia, la presa della capitale regionale potrebbe non coincidere con la pacificazione. Il rischio di un prolungamento delle ostilità preoccupa dell’Unione africana e dell’Unione europea, in particolare per la possibile destabilizzazione dell’Africa Orientale, con il coinvolgimento degli Stati vicini. Come l’Eritrea che, per quanto ufficialmente abbia negato ogni interferenza, sembra essere se non parte attiva, almeno una spettatrice a supporto per l’alleato Abiy Ahmed.
Il nemico comune di Abiy Ahmed e Isaias Afewerki
Le ostilità tra il Tplf, che ha dominato la politica etiope negli ultimi decenni, e il partito che guida l’Eritrea, rappresentata dal leader Isaias Afewerki, risalgono al 1993, anno in cui la popolazione eritrea ha dichiarato la propria indipendenza attraverso la via del referendum. La guerra avvenuta tra il 1998 e il 2000, che ha lasciato sul campo 100mila persone, ha inasprito ancora di più i rapporti, per quanto entrambe le fazioni siano perlopiù della stessa etnia.
Il dialogo tra i due Paesi è tornato solo dopo la nomina a Primo Ministro di Abiy Ahmed, poi giunto alla firma della pace nel 2018, salutata positivamente dall’opinione pubblica, tanto da aver portato il leader etiope a ricevere il Premio Nobel per la Pace . Il riavvicinamento non è casuale. Stando alle parole di Martin Plaut , esperto dell’Etiopia, le due figure politiche “sono persone dello stesso tipo”, che ritengono di essere i “visionari che rimoduleranno il Corno d’Africa”. Cionondimeno, l’accordo di pace è stato favorito dallo stesso Tplf, avvertito da entrambi come un nemico, sebbene per ragioni diverse: per Ahmed risulta un ostacolo alla sua idea di Etiopia, considerata come un’unica nazione, per Afewerki è visto come una minaccia per il suo territorio.
L’Eritrea nel conflitto del Tigray
Fin dall’inizio del conflitto nella regione del Tigray, la vicina Eritrea ha negato qualsiasi suo coinvolgimento, contrastando la versione della leadership tigrina. Le accuse sono state poi seguite dai fatti. Il 14 novembre il Tplf comunicava di avere lanciato dei razzi contro l’aeroporto di Asmara, affermando che questo veniva usato dall’esercito etiope come base d’appoggio. Alla “provocazione” non sono seguite rappresaglie. Almeno non ufficialmente. Ma se nelle prime settimane risultava impossibile verificare le affermazioni dell’organizzazione tigrina, adesso la situazione sembra essere parzialmente cambiata.
La testimonianza di alcuni cittadini di Himera, intervistati solo di recente dai giornalisti dell’Afp, sembrerebbe infatti confermare la partecipazione nell’assalto alla città da parte di soldati eritrei. Per questo motivo, l’Eritrea ha avuto un ruolo ausiliario nella avanzata da parte dell’esercito etiope sembra poter corrispondere alla realtà dei fatti, ciò nonostante, come scrive Geoffrey York sul Globe and Mail, risulta difficile accertare “la piena portata della cooperazione”. Infine, c’è chi sospetta che l’attacco nei confronti del Tplf sia stato preparato da mesi, come sopra menziona Plaut. Una teoria che però non è possibile verificare. Certo è che la visita del dittatore Afewerki in una base militare etiope solo tre settimane prima delle operazioni militari potrebbe condurre nella direzione della teoria proposta.
La preoccupazione degli eritrei
“Ho sentito alcuni giorni fa alcuni amici rimasti in Eritrea, sono molto preoccupati”. Raggiunto da InsideOver, Natnael non ha nascosto al telefono la sua inquietudine. Lui, nato in Eritrea, da anni lavora nel nord Italia, ma non ha mai staccato i legami con il suo Paese. La testimonianza fa comprendere quanto delicata sia la condizione nel corno d’Africa. La possibilità di un coinvolgimento eritreo nel conflitto etiope non è così remoto secondo gli eritrei sparsi in Italia. Forse perché molti di loro sono fuggiti da quel territorio durante il ventennio di guerra con Addis Abeba. Il semplice spettro di un riaccendersi delle tensioni in questa parte del continente, non può che riecheggiare lontano nella mente gli scontri di quegli anni.
“La vera preoccupazione – ha poi aggiunto Natnael – è che la pace fra Eritrea ed Etiopia di due anni fa non ha significato un’inversione di tendenza tra le due inviati”. Un accordo di comodo, quella a cui ha fatto riferimento il ragazzo eritreo, che però non ha cancellato quanto accaduto negli ultimi decenni. Ecco perché quando un missile pochi giorni fa è piombato vicino all’aeroporto di Asmara, gli echi del boato sono arrivati anche tra gli eritrei della diaspora. Un ritorno alle immagini di un passato non così lontano da non essere così attuale. Una preoccupazione che in patria è ancora più marcata: permettersi un’altra guerra per un Paese come l’Eritrea potrebbe rappresentare una catastrofe .
Il timore per gli eritrei nel Tigray
C’è un altro problema che potrebbe riguardare Asmara. Ossia la sorte della popolazione eritrea ospitata nel Tigray. Tigrini eritrei rifugiati nel territorio dei tigrini etiopi, che però non possono ricevere più molta solidarietà. Del resto, tra il Tplf e il governo di Asmara le tensioni sono sempre state molto alte, questo ha avuto storicamente ripercussioni anche nei rapporti tra tigrini. Oggi gli eritrei nel Tigray sarebbero centomila, almeno secondo gli ultimi dati dell’Oim . Forse potrebbe essere molti di più. Alcuni di loro potrebbero scappare per evitare di ritrovarsi nelle zone dei combattimenti. Altri ancora per la paura di subire ripercussioni in caso di coinvolgimento dell’Eritrea nella guerra.
Migliaia di persone potrebbero quindi provare a raggiungere il Sudan, aggiungendosi alle carovane già partite nei primi giorni del conflitto a novembre . L’alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, ha stimato oltre trentamila gli ingressi in Sudan da parte di persone fuggite dal Tigray. Difficile capire quanto tra questi siano eritrei. Di certo, l’attuale tensione non farà altro che alimentare flussi migratori e far crescere la pressione sulla regione. Un problema non secondario, che conferma quanti e quali risvolti internazionali potrebbe avere la guerra divampata a inizio novembre.