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Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha lanciato il 9 ottobre 2019 una nuova offensiva contro il nord est della Siria con l’intento di difendere i confini del proprio Paese dalla “minaccia terroristica curda”. Ad oggi, la Turchia detiene il controllo di una fascia di territorio siriano profonda 32 chilometri che va da Serekaniye fino a Tel Abyad e in cui Ankara vorrebbe ricollocare almeno un milione di profughi.

L'avanzata turca nel nord della Siria (Alberto Bellotto)
L’avanzata turca nel nord della Siria (Alberto Bellotto)

Con il passare dei mesi sono quindi venute alla luce quelle che sono le reali ambizioni di Erdogan in Turchia e con esse i piani per realizzarle. Se inizialmente l’operazione militare era stata presentata come un’azione di difesa, adesso il presidente turco non fa mistero del suo desiderio di restare in Siria il più a lungo possibile, come dimostra anche la recente introduzione nel nord est della lira turca al posto di quella siriana.

Il piano edilizio di Erdogan

In Turchia si trovano 3,7 milioni di rifugiati siriani arrivati nel Paese anatolico nel corso della guerra che devasta la Siria del 2011. Il costante aumento del numero di profughi ha avuto un effetto negativo sul piano politico turco, indebolendo il potere del presidente Erdogan e costringendolo a pensare ad un piano per recuperare credibilità tra il suo elettorato. È in questo contesto che nasce il piano di ricollocazione e ricostruzione del nord est della Siria presentato da Erdogan all’Onu a inizio novembre 2019. Secondo le informazioni finora diffuse e riportate da Foreign Policy, il piano di sviluppo turco prevede la costruzione di case, scuole, moschee, strutture sportive e ricreative, oltre a ospedali e università nella zona recentemente conquistata. In questo modo, Ankara spera di creare una fascia di sicurezza lungo il confine che resti sotto il suo controllo più o meno indiretto e abitata da persone non appartenenti al popolo curdo. A fine novembre sono infatti iniziati i primi rimpatri dei profughi siriani presenti in Turchia: secondo Erdogan si tratta di persone che prima della guerra abitavano nelle stesse zone a cui hanno fatto ritorno da poco, ma le autorità curde hanno invece denunciato che le famiglie rimpatriate provengono in realtà da altre città siriane a maggioranza araba. Un dettaglio non da poco che conferma i timori di un cambio demografico forzato che la Turchia è intenzionata a portare avanti lungo tutto il confine.

I dettagli del piano

Il piano edilizio presentato dalla Turchia prevede la costruzione di mille unità abitative per ogni villaggio (per un totale di 140 mila), due moschee, due scuole da 16 classi ciascuna, un centro ricreativo per i giovani, una struttura per attività sportive e un palazzo per l’amministrazione. La zona sotto il controllo turco dovrebbe poi essere suddivisa in dieci distretti, ognuno dei quali provvisto di 6mila unità abitative da due o tre stanze, una moschea principale a cui devono far capo altre dieci distribuite nei diversi villaggi, otto scuole primarie, università, ospedali, una zona industriale e uno stadio. Il presidente Erdogan spera di riuscire così a ricollocare un numero di rifugiati che varia dall’uno ai due milioni e a stabilire un controllo più duraturo sull’area al confine. Uno dei punti che restano ancora da risolvere riguarda però i finanziamenti del progetto: Ankara sta chiedendo aiuto tanto alle Nazioni Unite quanto agli Stati europei, minacciando questi ultimi di aprire le frontiere in caso di rifiuto. Secondo Foreign Policy, la Turchia avrebbe bisogno di 26 miliardi di dollari di aiuti esteri per realizzare il progetto.

Per poter iniziare a costruire in Siria, Erdogan ha anche bisogno dell’assenso della Commissione per i rifugiati dell’Onu, che deve accertarsi che i rimpatri dei siriani siano volontari e nel rispetto dei loro diritti e della loro sicurezza. Il piano è stato già discusso in due diversi incontri tra Turchia e Unhcr e un terzo è in programma per l’inizio del 2020 a Ginevra. Molti attivisti per i diritti umani hanno chiesto all’Agenzia di rigettare il piano turco, ma l’Unhcr almeno per il momento non sembra intenzionato a chiudere le porta in faccia alla Turchia.

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