La posizione della Cina “sulla questione dell’Ucraina è stata sempre chiara: abbiamo sempre sostenuto che l’integrità sovrana e territoriale di tutti i Paesi dovrebbe essere rispettata”, così come “gli scopi e i principi della Carta dell’Onu”. È questa la risposta offerta dal portavoce del ministro degli Esteri cinese, Wang Wenbin, sul via libera all’adesione alla Federazione russa emersa dai referendum tenuti nelle regioni dell’Ucraina occupate dalle truppe di Mosca. “Le legittime preoccupazioni sulla sicurezza di tutti i Paesi dovrebbero essere prese sul serio e dovrebbero essere sostenuti gli sforzi per una soluzione pacifica della crisi”, ha quindi aggiunto Wang.
Come più volte fatto dall’inizio della guerra in Ucraina, la Cina non ha mai puntato il dito direttamente contro la Russia, né ha mai assolto o condannato esplicitamente Vladimir Putin. Sono tuttavia interessanti alcuni recenti interventi rilasciati da alti funzionari cinesi, che lasciano intendere, o quanto meno immaginare, cosa possa pensare Pechino della situazione militare nella quale si è messo il capo del Cremlino.
Durante un briefing del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’ambasciatore cinese Zhang Jun ha chiesto una riduzione dell’escalation e ha affermato: “Il compito da svolgere è spingere le parti ad aprire al più presto la porta a una soluzione politica, per includere le rispettive e legittime preoccupazioni nei negoziati e mettere sul tavolo tutte le opzioni praticabili”.
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La partnership tra Cina e Russia
Attenzione: tutto questo non significa che la Cina si è stancata della Russia o che intenda, nell’immediato, rompere la “partnership senza limiti” stretta con Mosca. Molto più semplicemente, Pechino non ha alcuna intenzione di addossarsi responsabilità su una vicenda, la guerra in Ucraina, che agli occhi di Xi Jinping, influisce sì sugli affari globali ma che, allo stesso tempo, non è imputabile o collegabile direttamente alla Repubblica Popolare Cinese.
Il Dragone non ha mai fatto “passi in avanti” o “indietro”: è rimasto nella stessa posizione nella quale si trovava lo scorso 24 febbraio. Semmai, quello sì, la Cina può, di tanto in tanto, aver fatto qualche “passo di lato”.
Le minacce del Cremlino sull’eventuale utilizzo della bomba atomica, ad esempio, hanno infastidico l’establishment cinese. La sensazione è che, ad oggi, soltanto l’ipotetico impiego del nucleare da parte di Mosca possa rappresentare una valida motivazione per spingere Pechino a rompere la partnership. Il resto rientra nel grande maremagnum di ipotesi, indiscrezioni e suggestioni.
L’atteggiamento di Pechino
Il piccolo “passo di lato” della Cina acquista un senso chiaro se lo si legge nell’ottica dell’agenda di Pechino. Sulle tematiche di sovranità e integrità territoriale, il Dragone reagisce tenendo sempre a mente la questione taiwanese.
Sappiamo, infatti, che il gigante asiatico considera Taiwan una propria provincia, e che il governo cinese rafforza la propria posizione facendo spesso appello alla Carta delle Nazioni Unite, che sostanzialmente le dà tutte le ragioni del caso.
In altre parole, alla Cina non piacciono i referendum territoriali, neppure quelli proposti da Putin. Appoggiare il presidente russo su questo terreno insidioso, vorrebbe dire compromettere la retorica diplomatica in atto con Taipei. E questo, a Pechino, nessuno può permetterselo.