Potremmo chiamarlo un “partito della pace”, o quantomeno dei negoziati, quello che negli Stati si sta formando in maniera trasversale tra i due partiti principali. Nonostante il supporto militare all’Ucraina sia stato conferito illo tempore in maniera bipartisan, da tempo fra gli scranni del Congresso sono cominciati i malumori.
I repubblicani e lo stop agli “assegni in bianco”
Era stato questo il caso, ad esempio, del senatore Kevin McCarthy, supporter di Kiev-quasi-pentito che aveva lanciato l’allarme sugli aiuti ingenti, promettendo che non ci saranno più “assegni in bianco” qualora alle midterm i Repubblicani dovessero strappare la maggioranza.
L’approccio di Joe Biden all’Ucraina sarà messo a dura prova in questo caso. Il Congresso ha promulgato 12 miliardi di dollari in nuovi aiuti all’Ucraina a settembre e si prevede che l’amministrazione richiederà più aiuti per il paese in dicembre.
Si tratta di una ritirata fisiologica? Forse. A febbraio un sondaggio del Pew Research Center aveva rilevato che solo il 9% degli elettori repubblicani credeva che gli Stati Uniti fornissero troppo sostegno a Kiev. A settembre, quella cifra era più che triplicata al 32%. A Capitol Hill, la tendenza è stata simile. I repubblicani di destra come la georgiana Marjorie Taylor Greene sono stati espliciti nelle loro critiche agli aiuti. Altri ancora, come Matt Gaetz, hanno comunicato che una maggioranza crescente nel Gop alla Camera avrebbe interrotto del tutto gli aiuti chiesti dal presidente Zelensky.
Restano comunque forti le voci repubblicane dissenzienti, come quella del leader della minoranza al Senato Mitch McConnell, che seguita a chiedere un supporto maggiore agli aggrediti senza fare sconti a Mosca. In una dichiarazione di venerdì scorso, ha infatti nuovamente affermato che “L’amministrazione Biden e i nostri alleati devono fare di più per fornire gli strumenti di cui l’Ucraina ha bisogno per contrastare l’aggressione russa. È ovvio che ciò deve includere ulteriori difese aeree, artiglieria a lungo raggio e aiuti umanitari e sostegno economico per aiutare questo paese dilaniato dalla guerra a sopportare il prossimo inverno”.
La spending review dei Dem
Che gli stessi sommovimenti si stiano verificando fra i Dem è più che palese, e non solo in quel dei dixiecrats. Del resto, la brusca frenata del governo americano nei confronti di Zelensky a mezzo stampa ne è l’evidente prova, sebbene la Casa Bianca continui a parlare di supporto incondizionato all’aggredito. Biden ha tutta l’intenzione, mentre temporeggia sul 2024, di presentarsi come il wilsoniano che non è. E nel frattempo, le negoziazioni sottotraccia continuano, sebbene la conversazione Austin-Shoigu ne rappresenti solo la versione “pubblica”.
Biden adesso è pressato su entrambi i fronti: alla sua sinistra sono ormai in tanti a esortarlo a cercare un accordo negoziato con la Russia per porre fine alla guerra in Ucraina, anche esplorando accordi di sicurezza accettabili per entrambe le parti.
In una lettera rivolta al Presidente, 30 membri della Camera del Partito Democratico, hanno scelto di frenare esattamente come la controparte repubblicana, pur premettendo di essere contrari alla “oltraggiosa e illegale invasione dell’Ucraina” da parte della Russia e che un accordo spetterebbe a Kiev. Nella lettera si legge che “In quanto legislatori responsabili della spesa di decine di miliardi di dollari dei contribuenti statunitensi in assistenza militare nel conflitto, riteniamo che tale coinvolgimento in questa guerra crei anche la responsabilità per gli Stati Uniti di esplorare seriamente tutte le strade possibili”. A porsi come volto della fronda Pramila Jayapal, leader del House Progressive Caucus.
I trenta democratici chiedono un impegno diretto con la Russia per trovare una soluzione “che sia accettabile per il popolo ucraino”. Nelle loro richieste un tale quadro dovrebbe presumibilmente includere incentivi per porre fine alle ostilità, inclusa una qualche forma attenuazione delle sanzioni, e riunire la comunità internazionale per stabilire garanzie di sicurezza per un’Ucraina libera e indipendente che siano accettabili da entrambe le parti. “L’alternativa alla diplomazia è la guerra prolungata, con le relative certezze e rischi catastrofici e inconoscibili”, scrive nella lettera il gruppo, che comprende leftwingers di spicco come Alexandria Ocasio-Cortez, Jamie Raskin e Ro Khanna, che esortano l’amministrazione Biden ad abbinare il supporto militare ed economico che gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina con una spinta diplomatica proattiva, “raddoppiando gli sforzi per cercare un quadro realistico per un cessate il fuoco”.
Forse volendo mantenere le apparenze, la Casa Bianca, attraverso la segretaria stampa Karine Jean-Pierre, ha commentato la lettera con un laconico: “Siamo stati molto chiari: niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”. Fa eco il dipartimento di Stato: il portavoce Ned Price ha dichiarato: “In questo momento, abbiamo sentito ripetutamente dai partner ucraini che questa guerra finirà solo attraverso la diplomazia e il dialogo. Non abbiamo sentito alcuna dichiarazione reciproca o astenuto da Mosca che sono pronti in buona fede a impegnarsi in quella diplomazia e dialogo”.
La risposta della Casa Bianca
Per entrambe le parti, al di là delle posizioni ideologiche tra falchi e colombe per lo più tramontate, si tratta soprattutto di pace economica, più che di quella diplomatica. Esattamente come per la Casa Bianca, la guerra in Ucraina, o meglio, le sue conseguenze nelle tasche degli americani sono un bottino da portare alle midterm fra due settimane. Sebbene la politica estera incida sempre poco nelle campagne elettorali americane, questa volta non potrà essere avulsa dalla “pancia” dei cittadini degli Stati Uniti. Per entrambe gli schieramenti, riuscire a portare a casa l’assicurazione di una spending review che colpisce soprattutto gli aiuti militari sarà un grande risultato.
Per paradosso, quello del negoziato (quindi lo stop agli aiuti militari ma non umanitari) potrebbe essere la soluzione che metterebbe tutti d’accordo al Congresso: i conservatori, falchi in politica estera ma tendenzialmente isolazionisti e legati alle esigenze di bilancio; i progressisti, anch’essi legati alle questioni di spesa ma anche ammantati di sfumature ideologiche che vogliono una non precisata pace “a prescindere”; last but not least, la Casa Bianca, che potrebbe giovarsi della “fine degli assegni in bianco” come exit strategy per proseguire i negoziati con Mosca e viaggiare spedita verso il 2024 con questa medaglia sul petto. Paradosso nel paradosso, la spending review potrebbe ricompattare le dissidenze di partito, inducendo le conventicole pro-aiuti a oltranza a “subire” le decisioni congressuali, riallineandosi.
Troppo probabile, troppo vantaggioso perché non accada.