Era inevitabile che il colpo di mano dell’India in Kashmir provocasse un’escalation di tensione con il Pakistan. Da settimane i due paesi confinanti si lanciano reciproche frecciatine, dopo aver sospeso i rapporti diplomatici e paventato il rischio di una guerra. Ieri, Islamabad ha fatto due pericolosi passi in più, testando un missile balistico in grado di trasportare una testata nucleare e sguinzagliando la sua marina nei dintorni delle coste indiane del Gujarat. Nuova Delhi è in stato di allerta e monitora con attenzione le mosse del vicino di casa, con il quale ormai sembra non esserci più modo di risolvere la contesa per vie pacifiche. Troppe le cause che dividono India e Pakistan: dalla religione – a maggioranza indù uno, quasi del tutto musulmano l’altro – alla geopolitica – il governo indiano alleato degli Stati Uniti, quello pakistano della Cina – passando per i territori contesi lungo il loro confine. Il Kashimir è solo un pretesto per risolvere un testa a testa che ha radici profonde e che le due parti in causa non vedevano l’ora di riesumare da sotto la cenere dove, in qualche modo, era stato nascosto.
Le mosse del Pakistan
Il Pakistan ha alzato la posta in gioco, passando dalle minacce verbali agli atti concreti. Secondo quanto riportato dalla Cnn, Islamabad ha effettuato il lancio di un missile balistico a corto raggio la cui gittata massima, 290 chilometri, preoccupa il governo indiano. Ghaznavi, il nome del proiettile, è in grado di trasportare due testate multiple: una convenzionale e l’altra nucleare. Il test, avvenuto non a caso in un momento di estrema frizione con Nuova Delhi, è stato un successo, come ha confermato Asif Ghafoor, portavoce delle forze armate di Islamabad. Tornando al Ghaznavi, questo missile, in grado di eludere qualsiasi sistema difensivo indiano, fa parte della serie Hatf, il cui primo sviluppo risale metà degli anni ’80.
Oltre al test, il Pakistan avrebbe incaricato alcune sue navi militari di sconfinare in acque indiane. La notizia non è stata confermata da fonti pakistane, anche se le coste indiane del Guharat sono in allerta massima. Islamabad non ha parlato dell’attacco ai porti indiani, anzi ha accusato l’India di voler distogliere l’attenzione dal Kashmir appigliandosi a indiscrezioni inventate. In ogni caso, gli scali di Mundra e Kandla, due porti strategici per l’India, visto che il primo è il più grande del paese e che dal secondo passano petrolio e altri prodotti agricoli, si sono preparati al peggio.
Uscire dalla crisi
Il nodo centrale delle tensioni indo-pakistane è il Kashmir. All’indomani della caduta dell’impero britannico, le regioni musulmane indiane si separarono dal resto del paese per formare il Pakistan, uno Stato distinto dall’India. Fra i due pasi, il Kashmir rimase un’area particolare a causa del mix religioso ed etnico presente nella regione. Per smorzare le tensioni fu suddiviso in tre parti: il Kashmir pakistano, quello indiano, cioè lo Stato del Jammu-Kashmir e Ladakh, e il Kashmir cinese, ovvero l’Aksai Chin. Nonostante la tripartizione e le autonomie concesse ai territori, i dissidi non sparirono e ricomparvero saltuariamente; gli ultimi risalgono allo scorso 5 agosto, giorno dal quale si è originata l’attuale crisi.
La tensione, nel frattempo, sale giorno dopo giorno e, a meno di interventi esterni, continuerà a crescere fino al punto di non ritorno. La Cina, uno dei pochi attori asiatici che può tenere a freno Islamabad, è avvisata. Intanto il Kashmir Media Service ha pubblicato dati agghiaccianti sulla situazione nella regione: dal 2006 sono 27 mila le persone torturate dai militari indiani, 11 mila gli arrestati, 10 mila i manifestanti colpiti da proiettili di gomma, 900 le donne stuprate e 3 mila gli edifici rasi al suolo.