Il più grosso errore che si possa compiere in queste ore è quello di giudicare i talebani e prevedere le loro mosse con gli occhi del passato. Vent’anni costituiscono poco più che una generazione e consentono una prospettiva sufficientemente ampia per parlare di storia. Ergo, guai a pensare che i talebani di oggi siano quelli di 20 anni fa: se pur restano dei tratti comuni dovuti ai loro ascendenti, come la medesima considerazione di donne e bambine, bisogna accettare di essere in presenza di un organismo nuovo, che ha mutato forma.
Pur moralmente deprecabili, non possiamo comunque a priori considerarli meri rozzi guerriglieri di montagna incapaci dell’ars di governo. Come ricorda Fulvio Scaglione, infatti, “è probabile che sapranno governare l’Afghanistan che hanno appena riconquistato”. Conviene, perciò, non sottovalutarli e abituarci ormai al fatto che sono dei primi inter pares, anche grazie a “noi”.
I talebani di oggi e di ieri
Possiamo immaginarli come una nazione neonata, che deve conquistarsi il placet internazionale. Sanno bene di godere del pubblico ludibrio internazionale e che ogni mossa sarà sotto i riflettori. Sono però cambiate le percentuali del loro Dna: negli anni Novanta era costituito prevalentemente da fondamentalismo islamico, da voglia di rivalsa contro l’Occidente, erano ottuso rifugio nell’Islam per un mondo che non ha mai conosciuto il concetto di statualità. Oggi di quella matrice coranica c’è ancora una buona dose, non troppo fossile, tuttavia non è più il motore propulsore del loro operato, al massimo uno strumento.
Si interessano delle cose del mondo questi “giovani” talebani, e nel mondo vogliono stare anche usando gli strumenti 2.0. Inoltre, sono stati a lungo altrove, nel Golfo Persico, in Pakistan, dove hanno atteso e imparato ad agire in maniera più spregiudicata, strategica e à la page. Se, quindi, un folto gruppo di sessantenni resta comunque incisivo nel loro processo decisionale (si pensi a Haibatullah Akhunzada, predicatore e insegnante in una moschea in Pakistan, sostituto di Akhtar Mansour, ucciso dagli americani), ambiscono a fare meglio dei padri. La jihad non porta vantaggi pratici di nessun tipo, tanto vale lasciar perdere la santità islamica e fare anche loro un nuovo gioco che passa dal ritiro americano, dalle ansie e dalle ambizioni di Pechino e Mosca.
Una propaganda affinata
Venendo ora al mondo femminile, sanno bene che il tasto e delicato e che si può scherzare ben poco sull’argomento, almeno con l’Occidente. E se migliaia di donne hanno già perso le loro libertà, se drappi neri e scuole chiuse già illordano le strade d’Afghanistan, i loro toni su questi argomenti si fanno per il momento concilianti: cercano maldestramente di ripulire la loro immagine affermando di essere impegnati nel processo di pace, in un governo “inclusivo” e disposti a mantenere alcuni diritti per le donne.
Il loro portavoce Sohail Shaheen ha affermato che alle donne sarà comunque permesso di continuare la loro istruzione dall’istruzione primaria a quella superiore, a differenza della fase tra il 1996 e il 2001. Shaheen ha anche affermato che diplomatici, giornalisti e organizzazioni non profit potrebbero continuare a operare in Paese. “Questo è il nostro impegno, fornire un ambiente sicuro e che possano svolgere le loro attività per il popolo afgano”, ha affermato. Fosse anche solo propaganda, come in realtà è un cambio di passo che indica affinamento di tecniche di comunicazione e di ricerca di una certa dose di approvazione. Tutto molto “occidentale”.
Cosa vogliono
I nuovi talebani hanno saggiato quali benefici la “pace” possa portare. Significa contare, ottenere denaro e finanziamenti, significa avere un potenziale di ricatto nell’area. Carter Malkasian, autore di The American War in Afghanistan: A History, sostiene che una delle cose a cui sono molto sensibili è la loro incapacità di fornire beni e servizi e di gestire e amministrare bene il Paese, il loro cruccio durante gli anni ’90. Quindi, oggi, i neo-taliban ambiscono a farlo meglio, vogliono che si realizzino progetti di sviluppo. E per questo, vogliono anche mantenere una relazione con la comunità internazionale perché si rendono conto che hanno bisogno di essa per poter continuare a bere, mangiare, esserci.
Adesso servono sostanza et pecunia: la principale fonte di finanziamento dei talebani, secondo ciò che conosciamo, proviene dall’interno dell’Afghanistan: tassazione sul commercio, individui, contratti, ma principalmente attraverso il papavero, un vero vantaggio strategico che permette di rendere i contadini a loro più fedeli. Vi è poi un certo grado di sostegno monetario dal Pakistan e, in misura minore, dall’Iran e dalla Russia, così come dal Medio Oriente, ma non basta. Cina e Russia vanno già bene, il “dialogo” con la Turchia anche, hanno fatto del Qatar la loro sede politica. Questo significa due cose: 1) questo non sarà un gioco a somma zero e 2) la loro spirale di potere si farà più infida perché affonda le unghie nella geopolitica mondiale di oggi in maniera più raffinata. Sempre pronti a tornare islamisti puri se non avranno una sedia al tavolo di quelli che contano.