Se all’indomani del biennio 1947-1949 la strategia del blocco occidentale era quella di frenare le mire espansionistiche dell’Unione Sovietica, tentando di creare un sistema protettivo nei confronti dei Paesi nordici e dell’est Europa, nella nuova Nato mutaforma i ruoli sembrano invertirsi. Alla vigilia di una paventata guerra ai confini dell’Europa, è necessario più che mai ragionare su come la nuova Alleanza Atlantica stia cambiando. Cambiare non significa mandare in soffitta l’organizzazione regionale che per più di settant’anni ha anni ha gestito la sicurezza occidentale, ma adattarla alle nuove esigenze di ciò che definiamo sistema internazionale.
Dopo il crollo del muro
Dopo la fine della Guerra Fredda si sono contrapposte due linee di pensiero in proposito. I favorevoli all’espansione della Nato nell’Europa orientale hanno continuato a sostenere che l’obiettivo primario fosse la maggiore sicurezza della regione, tale da scoraggiare la Russia dall’intraprendere una politica di revisionismo territoriale. I fautori dell’allargamento, negli anni Novanta, erano giunti perfino a sostenere che anche la Russia, per paradosso, ne avrebbe beneficiato perché i suoi vicini dell’Europa orientale sarebbero stati scoraggiati nell’approfittare della debolezza russa e quindi della crescente instabilità della regione.
Gli oppositori dell’allargamento, invece, sollevarono numerose questioni: ad esempio, nel giugno del 1997 in una lettera aperta al presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, un gruppo di cinquanta eminenti personalità manifestò la propria opposizione all’allargamento bollandolo come “un errore politico di importanza storica”. Quel giudizio negativo si basava su quattro argomenti fondamentali: l’allargamento della Nato avrebbe messo in discussione l’intero assetto post-Guerra Fredda; avrebbe creato una nuova e profonda linea di divisione tra gli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica ammessi nella Nato e quelli rimasti fuori lasciati a cavarsela da soli; all’interno della stessa Nato l’allargamento avrebbe ridotto la credibilità dell’Alleanza sotto l’aspetto più importante in termini politici, ovvero l’impegno a difendere senza eccezione qualsiasi membro sotto attacco; infine, l’allargamento in aree sistemicamente instabili avrebbe potuto mettere a repentaglio l’impegno americano nell’ambito dell’Alleanza stessa.
Com’è andata a finire?
La proposta dell’allargamento a Est ha continuato a tenere banco anche nei due decenni successivi al crollo del muro di Berlino. Tuttavia, negli ultimi venti anni, le sfide globali come la lotta al terrorismo, i fenomeni migratori e, non ultima, la crisi pandemica hanno modificato i rapporti di forza internazionali anche soprattutto all’interno dell’Alleanza atlantica. La Turchia non è più un alleato leale ma un disenchanted ally che è andato ben oltre il semplice flirt con la Russia di Putin. Sono cambiati i meccanismi europei e i rapporti di forza all’interno dell’Europa, che non riesce a far rivivere il progetto di una difesa comune che possa alleggerire l’ombrello americano sul continente. Sono cambiate anche e soprattutto le priorità di Washington che, lungi da voler abbandonare il vecchio continente, ha necessità di rimodulare la propria politica estera: da qui, l’esigenza di alleggerire la propria presenza in Medio Oriente, la concentrazione delle energie nell’Indopacifico, ma soprattutto di ridefinire priorità e compiti a proposito del confine fra Europa ed ex mondo sovietico.
Il nuovo pivot Nato antirusso: Scandinavia e Paesi orientali
Gli americani hanno di recente aumentato il contingente in Polonia e in Romania di tremila unità. Agli inizi di febbraio, infatti, Joe Biden ha formalmente approvato la decisione di inviare truppe supplementari nell’Europa dell’est per rinforzare il fianco orientale della Nato in caso di invasione russa dell’Ucraina. Mille soldati spostati dalla Germania alla Romania e duemila dagli Stati Uniti in Europa, chiarendo che le forze Usa non avrebbero combattuto in Ucraina, ma avrebbero assicurato la difesa degli alleati.
Nel frattempo, si sta negoziando con la Slovacchia un accordo per accedere alle sue infrastrutture, in cambio di finanziamenti per procedere ad un loro adeguamento e modernizzazione. Nonostante il governo slovacco abbia approvato all’unanimità la formulazione di un patto di difesa bilaterale con gli Stati Uniti il 12 gennaio, l’Accordo di cooperazione per la difesa (Dca) ha dovuto affrontare una crescente opposizione da quando è stato presentato per la prima volta a metà dicembre. Dietro quest’ultimo attacco di antiamericanismo c’è un misto di politica opportunistica, simpatie russe di estrema destra e disinformazione, che sgomentano molti esperti in un momento di accresciuta instabilità regionale. Stessa cosa dicasi per la Danimarca. Gli Stati Uniti hanno proposto un accordo di cooperazione bilaterale in materia di difesa ulteriore rispetto ai meccanismi Nato. Una svolta dopo molti decenni di politica contraria allo stanziamento di truppe straniere sul suolo danese. La formula esatta che assumerà questa collaborazione non è stata ancora definita, ma potrebbe includere la presenza di soldati e equipaggiamenti militari statunitensi sul suolo danese, presumibilmente nel caso in cui fosse necessario inviare truppe nello Jutland o sull’isola di Bornholm, 160 chilometri a est della capitale.
L’idea di base è quella di creare un potente bastione militare fra Mar Nero e Mar Baltico che si allarghi fino a comprendere l’Artico, visto che con la Norvegia sono stati siglati accordi per una presenza di quattro basi, negoziato nel 2021, in tempi non sospetti. L’accordo regola e facilita la presenza, l’addestramento e le esercitazioni degli Stati Uniti in Norvegia, facilitando così un rapido rafforzamento del Paese da parte degli Stati Uniti in caso di crisi o guerra. L’accordo riafferma le strette relazioni della Norvegia con gli Stati Uniti e conferma la posizione chiave del Paese sul fianco settentrionale della Nato. In quest’ottica va considerata anche l’infrastruttura ferroviaria Rail-2-sea che collega Costanza a Danzica, che fungerà da anello logistico tra tutti i Paesi Nato confinanti con l’Ucraina.
Queste mosse mostrano come la politica estera americana non ha intenzione di mollare la fortezza Europa, ma semplicemente di utilizzare una selezione rinnovata di pivot. Francia e Germania, alle prese con tumulti interni e delicate fasi di passaggio, sembrano essere nel mezzo di un’operazione di maquillage diplomatico, dandosi un ruolo nel meccanismo del formato Normandia. E l’Italia? Roma potrebbe, invece di cercare un ruolo a tutti i costi nella crisi ucraina, diventare il più saldo alleato degli Usa nelle questioni mediterranee, soprattutto sulla quarta sponda, costretti a non poter più contare sul Giano bifronte che siede ad Ankara.