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Idlib non è solo una delle ultime sacche islamiste presenti in Siria. È anche il teatro del grande gioco politico di questo Paese. Mentre l’esercito di Damasco circonda la provincia in vista della battaglia finale, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu annuncia che un’operazione militare provocherebbe “una catastrofe umanitaria”. Secondo il ministro, la catastrofe riguarderebbe “non solo la regione di Idlib, ma il futuro della Siria“, in quanto ora un attacco delle forze governative porterebbe a “scontri armati che durerebbero a lungo”. Per Ankara, infatti, garante di questa zona di de-escalation, la battaglia di Idlib potrebbe essere un problema innanzitutto politico. Tuttavia, Cavusoglu ha detto: “L’eliminazione di gruppi e miliziani radicali è importante per tutti, perché costituiscono una minaccia per la nostra sicurezza nazionale, un aspetto importante anche per la Russia e l’Occidente”.

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In pratica, la Turchia ammette operazioni militari contro gli islamisti di Idlib, ma non ora. La questione è infatti, come abbiamo spiegato, prima di tutto politica. Con le zone di de-escalation e l’operazione ramoscello d’olivo Ankara si è ritagliata una zona di influenza nel nord del Paese che non è disposta a cedere gratuitamente. Sarà necessaria una contropartita. E sarà anche necessario – questa l’ottica turca – dividere gli elementi islamisti da quelli moderati e dai civili.

La strategia turca a Idlib

Al Monitor riporta nei dettagli la gstrategia turca a Idlib. In questi giorni, la Turchia starebbe infatti rinforzando i dodici punti di osservazione che circondano la provincia “con muri di cemento e armi di difesa aerea“. Inoltre, vorrebbe sdoganare alcuni gruppi, liberandoli dall’etichetta di “terroristi”. Un’operazione non facile, data la forte presenza di Al Nusra.

Inoltre, secondo quanto riporta il quotidiano Asharq Al-Awsat, la Turchia avrebbe presentato una road map a Siria e Russia. Secondo questo piano – si legge su Al Monitor – Ankara vorrebbe riunire sotto un’unica sigla, quella del Fronte di liberazione nazionale, tutti i gruppi presenti a Idlib che, tra le altre cose, dovranno consegnare tutte le loro armi pesanti all’esercito di Recep Tayyip Erdogan. Mosca, inoltre, avrebbe chiesto ad Ankara di trovare una soluzione per Idlib entro il prossimo 7 settembre, giorno in cui si terrà un summit sulla Siria tra Russia, Turchia, Francia e Germania.

Quali sono i gruppi presenti a Idlib

Nel corso di questi sette anni di conflitto, sono diversi i gruppi che sono arrivati a Idlib. Ci sono moltissimi civili e anche parecchi gruppi islamisti. Alcuni anche composti da combattenti stranieri, come quello degli uiguri. Lo scorso febbraio, però, è successo qualcosa di interessante. Comprendendo l’ormai imminente attacco da parte di Damasco, alcuni gruppi si sono riuniti sotto un’unica bandiera. È il caso di Ahrar al Sham e Nour al Din al Zenki, che hanno formato il Fronte di liberazione della Siria. Lo scorso maggio, questo movimento, assieme ad altri gruppi islamisti, si è radunato sotto le insegne del Fronte di liberazione nazionale, nato sotto gli auspici della Turchia, come sottolinea Al Monitor. In questo modo, Ankara ha il controllo, seppure non completo, su un gruppo che può contare agli 85mila ai 100mila combattenti. 

Ma c’è un altro elemento, molto importante, che è rimasto fuori dal Fronte di liberazione nazionale: Hayat Tahrir al Sham, grosso modo la vecchia Al Nusra. Non si sa quale sarà il suo destino, ma è certo che sia Mosca che Damasco vogliono eliminarla dalla provincia di Idlib. Ankara ha provato a portarla sotto la sua ala protettrice, ma senza alcun risultato. Ora potrebbe disfarsene. Il 7 settembre non è poi così lontano. E i soldati di Assad già premono sulla provincia. 

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