Ormai da settimane si parla di una possibile controffensiva ucraina nel meridione del Paese, intendendo con ciò la regione di Kherson, occupata dalle truppe russe nei primi giorni del conflitto e da allora mai abbandonata.

Esistono diversi fattori che ci fanno pensare che, se davvero Kiev deciderà di attaccare quel settore del fronte, il successo – se ci sarà – sarà pagato a carissimo prezzo e pertanto si impone una riflessione sulla reale opportunità di una manovra simile. Il pensiero va, per forza di cose, alla Seconda Guerra Mondiale, quando alla fine del 1944 la Germania imbastì una controffensiva nelle Ardenne per cercare di raggiungere il porto di Anversa, e così tagliare il fronte alleato privandolo di un importante porto per i rifornimenti stante la scarsa efficienza di quelli francesi sulla Manica, praticamente distrutti nelle settimane successive allo sbarco in Normandia. L’operazione originariamente chiamata Wacht am Rhein (Guardia al Reno), poi Herbstnebel (Nebbia autunnale), come sappiamo si risolse in una sconfitta tedesca, stante la superiorità numerica degli Alleati e la loro capacità di garantire un continuo afflusso di rifornimenti alle truppe, fattori che mancarono alla Germania. La sconfitta per Berlino, quindi, non fu solo tattica ma anche strategica: l’operazione allontanò l’inevitabile fine del Terzo Reich solo di una manciata di settimane, e in più consumò importanti risorse che sarebbero state più utili sul fronte orientale o magari, semplicemente, da utilizzare per la difesa in profondità del territorio tedesco, rendendo così maggiormente difficoltosa l’avanzata alleata nel cuore del Reich. Anche l’operazione Bodenplatte, organizzata per cercare di riguadagnare la superiorità aerea durante le ultime fasi di Herbsnebel, si risolse in una disfatta e contribuì a far sparire la Luftwaffe dai cieli, piuttosto che a controbilanciare lo strapotere aereo alleato.

La tattica di Mosca

Il paragone ad alcuni potrà sembrare azzardato, ma la situazione strategica è la stessa: l’Ucraina è sulla difensiva davanti a un avversario generalmente più potente nonostante tutte le carenze che in questi mesi si sono palesate, e a cui si è posto rimedio se pur non in modo capillare o totalmente efficace. La logistica russa, ad esempio, è stata riorganizzata e si sta cercando di rimpolpare le unità base dell’esercito (i Gruppi Tattici di Battaglioni o Btg) con le riserve mobilitate da più parti; se pur la catena di comando resti fortemente accentrata e manchi ancora una certa libertà ai comandanti sul campo (se si fa il confronto con quanto accade in Occidente), lo Stato maggiore russo ora ha razionalizzato l’offensiva concentrando la potenza di fuoco di artiglieria e cacciabombardieri là dove serve, ovvero lungo le principali direttrici di attacco, come abbiamo visto nel Donbass nelle scorse settimane. Mosca ha abbandonato l’idea del “rullo compressore” fatto di unità corazzate che velocemente si gettano tra le linee nemiche (il “thunder run” come definito dagli anglosassoni) trasformando così il conflitto in una guerra di logoramento, anche per avere il tempo di poter raccogliere la risorsa che in questo momento più serve per vincere la guerra: il personale.

La Russia, infatti, definendo il conflitto “operazione militare speciale”, non può mobilitare e inviare al fronte il personale di leva, dovendosi affidare quindi esclusivamente ai volontari, che necessitano non solo di essere addestrati adeguatamente, ma di essere raccolti in numero sufficiente per poter organizzare le unità. Tempo che gioca in favore di Mosca, proprio perché nel lungo periodo può ricalibrare la sua economia e cercare di ammortizzare le ultime sanzioni internazionali, che, nonostante una certa propaganda nostrana vada raccontando, hanno inciso sul conflitto.

Il peso delle sanzioni

Parlando di sanzioni dobbiamo però fare un passo indietro al 2016, quando sono entrate in vigore le prime post annessione della Crimea del 2014: allora la Russia importava circa 860 componenti militari dai Paesi Nato e 700 dall’Ucraina (settore aeronautico, motoristica navale, armamento di precisione) e dopo l’inizio del blocco Mosca ha cercato di riorientare le sue fonti di approvvigionamento sia affidandosi a nuovi partner (la Cina ad esempio ma non solo), sia cercando di aumentare la produzione interna. La legge varata in questo senso, che avrebbe dovuto rendere la Russia indipendente dall’estero a partire dal 2018, non ha ottenuto i risultati sperati e ancora nel 2021 Mosca importava il 33% dei semiconduttori dalla Cina, il 14 dalla Malesia, il 13 da Taiwan, il 10 dal Vietnam e il 4 dalle Filippine con “solo” il 25% dai Paesi occidentali. Le nuove sanzioni, che prevedono anche che Paesi terzi non possano fornire alla Russia certi componenti frutto di design, hardware o software occidentale, sta avendo pesanti ripercussioni sull’industria informatica russa con effetti anche su quella meccanica: sappiamo infatti che le due principali fabbrica di carri armati russe, la Uralvagonzavod e la Chelyabinsk Tractor Plant, hanno interrotto la produzione per mancanza di componenti, da qui il ricorso ai T-62 tenuti “in naftalina” nei depositi dell’era sovietica e il blocco delle esportazioni dei T-72, che ora vengono dirottati al fronte.

Come già detto, il tempo, però, gioca in favore di Mosca: l’industria russa è ben strutturata e può contare ora sul maggiore aiuto cinese, pertanto nel medio/lungo termine sarà capace di adattarsi e iniziare a sopperire a certe carenze, inoltre dal punto di vista meramente bellico, i depositi di armamenti russi sono in grado di sostenere il conflitto utilizzando sistemi di vecchia concezione risalenti agli anni ’60 e ’70 perché idonei a sviluppare quel volume di fuoco necessario localmente per le avanzate. Da questo punto di vista si sono già palesati i primi segnali: oltre alla bombe a caduta libera tipo Fab particolarmente datate che sono in uso nel conflitto, abbiamo assistito all’utilizzo di vecchi missili da crociera come i Kh-22, che si pensava fossero stati smantellati. Mosca, poi, può ricorrere all’acquisto di quanto necessario attraverso il mercato nero, o acquistando le componenti da quei Paesi che non sono sotto sanzioni.

La “fine” delle scorte ucraine

Passando sul fronte opposto, l’Ucraina ha visto consumare rapidamente le sue riserve di armamenti di fabbricazione sovietica/russa, che per ovvi motivi non possono essere sostituiti, e sta rapidamente consumando le risorse cedute dall’Occidente: a tal proposito si registra già l’usura degli obici semoventi di artiglieria Pzh 2000 forniti dalla Germania, a causa dell’elevata cadenza di tiro utilizzata dagli ucraini. Anche i sistemi missilistici anticarro (Atgm – Anti Tank Ground Missile), che nelle prime settimane hanno “inondato” le linee del fronte, ora arrivano col contagocce per via del rapido esaurimento delle scorte nei Paesi produttori/utilizzatori primari.

Abbiamo già avuto modo di dire ampiamente che non saranno certo 12 o 16 Mlrs (Multiple Launch Rocket System) tipo Himars o altrettanti M-270 a poter fare da game changer del conflitto, sebbene siano particolarmente efficaci per aver messo sotto tiro i depositi e snodi di smistamento logistici avanzati.

Anche dalle parti di Kiev, poi, comincia a scarseggiare la risorsa primaria che serve per vincere un conflitto, ovvero il personale, fattore intuibile dalle dichiarazioni governative che per la prima volta, nelle scorse settimane, hanno ammesso perdite comprese tra i 100 e i 200 uomini al giorno. L’Ucraina, da quest’ultimo punto di vista, ha un vantaggio rispetto alla Russia, avendo avviato la mobilitazione generale già da mesi, ma avere 250 o 500mila uomini a disposizione senza adeguato equipaggiamento (nel senso più generale possibile riferendoci quindi a tank, artiglieria, Atgm, camion ecc) significa non poter organizzare una controffensiva nel migliore di modi, col rischio quindi che l’esercito ucraino non riesca a portare effettivamente a termine un assalto in grado di sfondare le linee russe.

Invece, quello a cui potremmo assistere, è un attacco simile a quello che abbiamo visto messo in atto dai russi nel Donbass, con durissimi combattimenti con perdite elevate in termini di uomini e equipaggiamento che permettono di avanzare di un chilometro o due alla volta. Un’altra analogia con quanto visto nell’oblast di Luhansk nelle scorse settimane, è il fatto che i russi si sono trincerati nella regione di Kherson da mesi, e nonostante l’esercito di Kiev abbia messo fuori uso i ponti sullo Dnepr (stradale e ferroviario), l’afflusso di rifornimenti continua usando ponti di barche e traghetti, che stanno sopravvivendo agli attacchi ucraini anche perché i russi stanno sviando i missili a guida radar avversari utilizzando falsi bersagli costituiti da amplificatori di segnale.

Da ultimo è d’uopo ricordare che le controffensive si effettuano senza annunciarle, anche al netto delle necessità propagandistiche, quindi se davvero vedremo l’esercito ucraino attaccare la regione di Kherson per cercare di ricacciare i russi oltre lo Dnepr, è probabile che l’azione si risolverà con una sconfitta tattica ed è quasi certo che sarà una sconfitta strategica, in quanto le risorse impiegate sarebbe più opportuno utilizzarle per la difesa in profondità là dove i russi svilupperanno le loro nuove direttrici di attacco.





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