Trovare un nemico esterno nei momenti di crisi è una tattica della notte dei tempi. Soprattutto se le cose in patria vanno male, lo insegnano condottieri, imperatori e leader di oggi. A Washington le cose non vanno bene da tempo e l’assalto a Capitol Hill di un anno fa non ha affatto compattato il Paese attorno alla sacra istituzione della Casa Bianca. Al 20 febbraio 2022 la popolarità del presidente Joe Biden è al 41,8% e la vicenda ucraina potrebbe affatto giovare a livello di opinione pubblica. In un momento di minimo storico della sua presidenza, Biden presumibilmente si aspettava un clima da rally under the flag in stile Guerra Fredda, in cui il nemico comune era l’Unione Sovietica, il pericoloso orso bruno degli spot elettorali di Reagan. Ma il rambo style sembra non funzionare, così come una certa guasconeria, così grottesca su un uomo che si è sempre presentato come un wilsoniano, che fa sembrare tutto un lungo episodio di Ai confini della realtà.
La speranza bipartisan e la rottura al Congresso
Così il tentativo di unire la nazione, attraverso l’ossessività dell’attacco imminente, fallisce, esattamente come la speranza di compattare il Congresso, spaccato su numerose questioni di politica interna. Ne è esempio paradigmatico il Senato: incapace di concordare sul disegno di legge circa le sanzioni alla Russia, si accontenta di una dichiarazione. La spinta bipartisan per far passare la “madre di tutte le sanzioni” crolla dopo che i Repubblicani hanno insistito per imporre sanzioni ampie prima di un’invasione, opzione che i democratici, sostenendo la Casa Bianca, hanno rifiutato. Il disegno di legge avrebbe anche autorizzato il presidente Biden a utilizzare il Lend-Lease Act del 1941 per prestare equipaggiamento militare all’Ucraina, oltre ai 2,7 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza che gli Stati Uniti hanno impegnato a Kiev dal 2014.
Eppure, le premesse per un consenso trasversale sulla Russia c’erano tutte. Un’opzione che avrebbe messo d’accordo i falchi del GOP, i dixiecrats, i centristi e l’entourage bideniano, ça va sans dire. Invece, la scorsa settimana, i senatori hanno potuto mettere nero su bianco una mera dichiarazione non vincolante che, seppur con parole forti, accusa Putin per il rafforzamento militare “provocatorio e sconsiderato” al confine dell’Ucraina: un’opzione non cogente e priva di dibattito, prima di lasciare Washington per una settimana di vacanza. La ragione della mancata concordia è il profondo disaccordo su quando e come imporre sanzioni agli alti funzionari e banche russi e alla resistenza dell’amministrazione Biden ad agire in via preventiva. Il risultato è stata la paralisi legislativa su un provvedimento che, almeno concettualmente, sembrava aver goduto di un consenso schiacciante.
La proposta repubblicana
La proposta repubblicana differisce principalmente da quella dai democratici per l’inclusione di sanzioni obbligatorie – da imporre entro un mese dall’emanazione del disegno di legge – intese a punire alti funzionari russi per attività già intraprese contro l’Ucraina. I democratici preferiscono tenere questa opzione come deterrente per aiutare a fermare un’invasione e sposano, invece, la linea attendista. Il disegno di legge del GOP include anche sanzioni secondarie alle banche russe che sarebbero imposte se Mosca attaccasse ulteriormente l’Ucraina. Jim Risch, Repubblicano dell’Idaho ha sponsorizzato il Nyet (Never Yielding Europe’s Territory) Act, sostenendo provvedimenti immediati per fermare permanentemente il Nord Stream 2, inviando un potente messaggio di deterrenza e imponendo pesanti costi economici e militari alla Russia. Ma i repubblicani non parlano con una sola voce. Ci sono hardliners come il senatore Tom Cotton dell’Arkansas, grandi assenti come John McCain dell’Arizona, scomparso nel 2018, e dalla linea singolare, essendo stato uno dei grandi detrattori di Trump ma comunque un falco. L’ex presidente, invece, nicchia furbamente, probabilmente volendosi ipotecare la Run for 2024: l’ultima sua dichiarazione sulle tensioni in Ucraina risale al 24 gennaio: “Quello che sta succedendo con la Russia e l’Ucraina non sarebbe mai successo sotto l’amministrazione Trump. Nemmeno una possibilità!”.
I democratici e la linea della Casa Bianca
La Casa Bianca, nel senso dem del termine, si tiene stretti i progressisti. Bernie Sanders ha elogiato l’amministrazione per “aver fatto del suo meglio camminando su una corda tesa molto difficile”, mentre i senatori Elizabeth Warren del Massachusetts e Jeff Merkley dell’Oregon hanno apertamente appoggiato Biden, propagandando il fronte unito. Bob Menendez, senatore democratico del New Jersey nonché Presidente della Commissione Relazioni Estere del Senato, è pronto invece a castigare i Repubblicani per il perseguimento di una strada decisamente partisan. Proprio lui, il 15 febbraio scorso si era detto entusiasta del progetto bipartitico a sostegno dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina, dell’assistenza militare sia letale che non letale e impegnato a imporre sanzioni contro la Russia in caso di invasione. I repubblicani stanno spingendo per emanare sanzioni più radicali proprio sul famigerato oleodotto, incluso il senatore del Texas Ted Cruz, che vorrebbe sanzioni alle imprese associate al Nord Stream 2. Ma a maggio Biden aveva già rinunciato a tutto ciò, preferendo distendere i rapporti con l’Europa.
Biden può andare avanti da solo?
La risposta è sì. Il problema è che il presidente degli Stati Uniti è alla ricerca disperata del consenso del Congresso, cercando l’investitura che meriterebbe un comandante il capo. Senza quella benedizione le cose nel legislativo si mettono male, soprattutto in vista delle prossime elezioni. L’impianto costituzionale conferisce all’inquilino di Pennsylvania Avenue una notevole autorità quando le sanzioni economiche vengono utilizzate nella politica estera. Se il Congresso emana sanzioni, il Presidente deve aderire alle disposizioni che governano il legislativo, ma è responsabile della determinazione delle persone fisiche e degli enti che devono essere soggetti a sanzioni.
Il Presidente ha spesso anche l’autorità di essere l’unico decisore nell’iniziare e imporre sanzioni: lo fa decidendo ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa) di fronte a una “minaccia insolita e straordinaria, che ha la sua fonte in tutto o in parte al di fuori degli Stati Uniti, alla sicurezza nazionale, politica estera o economia degli Stati Uniti”. In caso di emergenza nazionale, il presidente può invocare la sua autorità per indagare, regolamentare o vietare transazioni in valuta estera, uso di banche statunitensi, l’importazione o l’esportazione di valuta o titoli e le transazioni che coinvolgono proprietà o interessi in proprietà sotto la giurisdizione degli Stati Uniti. Il presidente Obama ha invocato lo Ieepa per dichiarare che l’invasione russa del 2014 rappresentava una minaccia per gli Stati Uniti. Su tale base, dichiarò l’emergenza su cui si basano la maggior parte delle sanzioni alla Russia. Sia Obama che Trump hanno invocato le autorità lo Ieepa e il National Emergencies Act (Nea) per dichiarare emergenze nazionali legate alla cybersicurezza e alle interferenze elettorali.
La Costituzione divide i poteri di politica estera tra l’esecutivo e il legislativo in modo che ogni ramo debba sostenere o rispondere agli interessi e alle intenzioni dell’altro. Ergo, il Congresso può autorizzare, e in alcuni casi imporre al Presidente di usare le sanzioni. In passato lo ha fatto per autorizzare o richiedere al Presidente di utilizzare sanzioni nel tentativo di scoraggiare la proliferazione delle armi, prevenire il terrorismo, la circolazione di stupefacenti, attacchi informatici. Il corpo legislativo può definire quali sanzioni il ramo esecutivo debba applicare, nonché le condizioni che devono essere soddisfatte prima che tali sanzioni possano essere revocate. Tuttavia, solo il presidente può con questi strumenti decidere a chi, individui o enti, comminare queste sanzioni.
Alla luce di secoli di costituzionalismo americano, Biden può procedere anche da solo. Ma solo potrebbe restare, senza la benedizione sacra di Capitol Hill.