C’è una frase pronunciata ieri dal leader ceceno Kadyrov che forse è passata un po’ in sordina, ma che in qualche modo può descrivere le tensioni interne alla governance della federazione russa: “Dobbiamo completare il lavoro – ha dichiarato mentre parlava a Grozny, capitale della Cecenia – Dobbiamo prendere Kiev“. Una frase pronunciata mentre a Istanbul, al contrario, il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky parlava di riposizionamento delle truppe russe in Ucraina, con riferimento alla partenza di alcune unità dall’area di Kiev.
Mentre cioè dalla parte russa trapelava la disponibilità a un ridimensionamento delle pretese sulla capitale ucraina, dalla Cecenia Kadyrov sembrava quasi esprimere rammarico per una scelta del genere. Le sue dichiarazioni non sono proprio di second’ordine. Il leader ceceno è un fedelissimo di Putin e negli anni le sue forze, le stesse con le quali suo padre ha aiutato Mosca a riprendere il controllo sulla regione caucasica, hanno assunto ruoli di primo piano. Come testimoniato anche dalla partecipazione dei ceceni alla missione in Siria, la più delicata della Russia prima della guerra in Ucraina.
Due visioni opposte che rischiano di scontrarsi
Se Kadyrov parla è perché sa di poterselo permettere. E perché inoltre nel suo gergo il termine compromesso non è contemplato. Poco dopo le sue dichiarazioni si è fatto ritrarre mentre in ospedale è andato a trovare Ruslan Geremeyev, uno dei suoi fedelissimi rimasto gravemente ferito a Mariupol. Anche questo un segnale di non poco conto. Kadyrov ha voluto far vedere che sta perdendo non pochi uomini in Ucraina e sta sacrificando uomini a sé fedeli. Dunque tutto questo non può portare a una sconfitta. E per sconfitta si intenderebbe anche una “vittoria dimezzata”.
Ruslan Geremeyev is leading Chechen forces in Mariupol and he was visited by Kadyrov in the hospital (seems Geremeyev was wounded during the fighting in the central part of the city).
Ruslan Geremeyev is believed to have organized the killing of Boris Nemtsov. pic.twitter.com/ABst8WOUp9
— Ruslan Trad (@ruslantrad) March 29, 2022
Certo, Kadyrov non sta a Mosca, ha la sua base a Grozny. Ma, come detto, se parla è perché sa di poterlo fare, sa quale aria tira all’interno del Cremlino. E ha fiutato probabilmente un’aria molto tesa. Dove risulta palese oramai che non tutto l’apparato di intelligence rema nella stessa direzione del presidente Vladimir Putin.
Una circostanza ben nota anche a Kiev. Nei primi giorni di guerra il presidente ucraino Zelensky ha fatto riferimento a piani contro la sua persona di cui è venuto a conoscenza. L’intelligence ucraina non ha perso tempo nel far trapelare che questi piani erano stati resi noti da agenti dell’Fsb, il servizio segreto russo. Difficile dire se per davvero membri dell’ex Kgb abbiano realmente girato o meno informazioni del genere ai colleghi ucraini. Di certo però insinuare il dubbio è stato un modo per far innervosire il Cremlino e rendere palesi determinate spaccature. Divergenze sulla guerra che oggi fanno ancora più rumore viste le difficoltà sul campo. L’Fsb non ha mai visto di buon occhio l’operazione militare contro Kiev.
Ne è convinto Andrey Soldatov, il quale fa base a Londra ma ha un’ampia conoscenza delle dinamiche interne ai servizi russi. A più riprese, come riportato su La Stampa, su Repubblica e su Libero, ha segnalato la possibilità di un mancato coinvolgimento dell’Fsb nei piani di guerra. Questo perché lo stesso Putin conosce le inclinazioni dei principali vertici dell’intelligence. Secondo Soldatov, l’Fsb avrebbe come proprio mantra l’intervento Nato contro la Serbia nel 1999, contrassegnato cioè solo da raid e bombardamenti e non da un’invasione di terra. Il presidente russo ha scelto un’altra strada affidandosi ai ceceni, così come alla Guardia Nazionale e all’Fso, il servizio di Guardia Federale. Enti e servizi cioè più inclini al conflitto e, soprattutto, più inclini ad assecondare senza sé e senza ma i piani del presidente.
Le possibili conseguenze della spaccatura
Per riassumerla in modo molto sintetico, parafrasando anche le parole dell’economista Anders Aslund, da un lato a Mosca ci sono gli interventisti, composti da Fso, ceceni e Guardia Nazionale. Dall’altro invece ci sono i servizi segreti dell’Fsb e del Svr, lo spionaggio estero. Un organismo la cui guida è affidata a quel Sergey Naryshkin ripreso più volte da Putin davanti le telecamere durante l’ultimo consiglio di sicurezza prima della guerra. Per Fsb e Svr l’intervento militare sarebbe stato controproducente. Il problema adesso è capire come si rimarginerà la divisione tutta interna al Cremlino e cosa comporterà tutto questo nell’andamento della guerra.
Le difficoltà sul campo ci sono e ora vengono ammesse anche in Tv, come dimostrato dalla messa in onda delle visite del vice ministro della Difesa ai soldati feriti portati in ospedale a Mosca. Ma chi ha investito nel conflitto, come Kadyrov, difficilmente accetterà un passo indietro. E chi tra i membri dell’Fso più vicini a Putin ha delle responsabilità sull’andamento della guerra, difficilmente pagherà o accetterà la sconfitta.
Le strade sono due: proseguire con le operazioni militari nonostante le oggettive difficoltà oppure ridimensionare gli obiettivi. Ma è bastato a Istanbul far riferimento a un leggero indietreggiamento da Kiev per scatenare le ire del leader ceceno e, probabilmente, degli uomini vicini al presidente all’interno del Cremlino.