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Il Mar Cinese Meridionale è uno specchio d’acqua che mette in collegamento l’Oceano Indiano e il Pacifico attraverso cui passa un’importante fetta dei traffici commerciali globali. Esso in particolare si collega all’Oceano Indiano attraverso tre “strozzature” rappresentate dagli stretti di Malacca, Sonda e Lombok e al Pacifico tramite lo Stretto di Luzon, posto tra Taiwan e l’arcipelago delle Filippine. Per la sua posizione geografica strategica, il Mar Cinese Meridionale è diventato sede di tensioni internazionali da quando la Cina ha cominciato aggressivamente a rivendicarne la sovranità su circa l’80% della sua estensione.

Pechino agiesce sulla base della cosiddetta “Nine Dash Line” (Linea dei Nove Tratti): una demarcazione risalente al periodo immediatamente successivo al termine della Seconda Guerra Mondiale che ne riprende una ancora precedente, datata 1935. Questa divisione, del tutto arbitraria, esula dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (Unclos) – ratificata dalla stessa Cina peraltro – che limita le acque territoriali a uno spazio non superiore alle 12 miglia nautiche dalla costa. Il diritto internazionale ha istituito anche, nel 1982, quella che si definisce Zona di Esclusività Economica (Zee), ovvero la porzione di mare adiacente alle acque territoriali, che può estendersi fino a 200 miglia dalle linee di base dalle quali è misurata l’ampiezza del mare territoriale. Uno Stato costiero, pertanto, può rivendicare diritti esclusivi di sovranità in materia di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse ittiche oltre ad avere giurisdizione in materia di installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture, e può adottare leggi e regolamenti in molteplici settori. Tuttavia non si può impedire agli altri Stati la navigazione e il sorvolo della Zee, come pure il suo utilizzo per la posa di condotte e cavi sottomarini.

La maggior parte del Mar Cinese Meridionale cade al di fuori del limite delle 200 miglia della Zee cinese, ma nonostante questo Pechino avanza da tempo diritti di sovranità su quasi tutto quello specchio d’acqua, che come detto si estende sino ai vitali accessi dello Stretto della Malacca.

La diatriba coinvolge gli Stati che si affacciano su quel mare (Taiwan, Vietnam, Filippine, Malesia, Indonesia, Brunei) e gli Stati Uniti, che da potenza talassocratica difendono la libertà di navigazione. La tensione che da anni caratterizza questa particolare area geografica è altrettanto elevata quanto quella per Taiwan, l’isola “ribelle” al centro delle mire espansionistiche cinesi. Dalle nostre colonne abbiamo sempre osservato il corso degli eventi nel Mar Cinese Meridionale, e pertanto possiamo offrire una panoramica storica che ne dimostra la maggiore instabilità nonostante gli sforzi internazionali per cercare di far tornare la tensione sotto il livello di guardia.

Il ruolo dell’Asean

Cominciamo proprio da quest’ultimo punto e dal summit dell’Asean tenutosi in Indonesia il 7 settembre: in un documento diffuso dalla presidenza indonesiana, si sono riaffermati i principi dell’Unclos che “stabilisce il quadro giuridico all’interno del quale devono essere svolte tutte le attività negli oceani e nei mari ed è di importanza strategica come base per l’azione e la cooperazione nazionale, regionale e globale nel settore marino, e la sua integrità deve essere mantenuta”. Proprio quei principi che la Cina viola con le sue azioni aggressive volte a nazionalizzare la quasi totalità del Mar Cinese Meridionale.

Il primo atto giuridico cinese in questo senso si è avuto a settembre 2021 quando Pechino ha unilateralmente stabilito che un certo tipo di naviglio in transito in quello specchio d’acqua debba comunicare i propri dati alla Guardia Costiera cinese. Il secondo atto si è avuto più di recente, quando ad agosto una mappa pubblicata sul sito web del servizio cartografico standard del ministero delle Risorse Naturali cinese ha ufficializzato la sovranità sul Mar Cinese Meridionale, oltre ad aver inglobato un pezzo di Russia e di India, causando le proteste vivaci di Nuova Delhi e, al contrario, la scontata indifferenza russa.

In mezzo a questi due eventi, c’è stata una miriade di “incidenti” che hanno coinvolto tutti gli attori regionali (ed extra regionali come gli Usa) ma che hanno avuto come denominatore comune la condotta aggressiva cinese in quel mare che però non ha generato casus belli, come da precisa tattica del “salami slicing“.

Restando negli ultimi 10 giorni, il 31 agosto il Vietnam ha fatto sapere che “si oppone a tutti gli atti di uso della forza contro i pescherecci vietnamiti che operano normalmente in mare, minacciando la vita e la sicurezza e causando danni alle proprietà e agli interessi dei pescatori, contrariamente al diritto internazionale, alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto di pesca del 1982” come risposta all’ennesimo intervento aggressivo della Guardia Costiera cinese contro pescatori vietnamiti nei pressi delle Isole Paracelso, rivendicate da entrambi i Paesi.

Medesima azione condotta venerdì 8 settembre anche contro vascelli filippini (due unità della Guardia Costiera e due rifornitori) che si sono avvicinati all’atollo Second Thomas Shoal nelle Isole Spratly, dove peraltro la Cina da tempo ha creato installazioni portuali e aeroportuali che sono state militarizzate. Anche in questo caso si è trattato del secondo incidente in pochi giorni nella medesima zona.

La risposta Usa alle sortite cinesi

La risposta della Casa Bianca e dei suoi alleati alle azioni aggressive e all’atto giuridico rappresentato dalla nuova mappa non si è fatta attendere: lunedì 4 settembre unità navali giapponesi hanno effettuato esercitazioni antisom nel Mar Cinese Meridionale, mentre la U.S. Navy e la marina filippina hanno effettuato una navigazione congiunta lo stesso giorno. Nel frattempo, la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione e la Royal Thai Navy hanno iniziato domenica 3 un’esercitazione congiunta che si svolge intorno al Golfo di Thailandia e alla Thailandia orientale.

Tornando all’aspetto politico, la mappa cinese ha scatenato le reazioni di tutti gli Stati rivieraschi con la Malesia che rifiuta la demarcazione geografica e l’Indonesia che ha rafforzato i suoi legami con gli Stati Uniti: i due Paesi hanno annunciato congiuntamente il 6 settembre di voler elevare il loro livello di cooperazione in molti settori, tra cui quello della sicurezza marittima, della Difesa e della risposta alle minacce regionali.

Il quadro generale si fa più fosco quindi, considerando anche che la questione del Mar Cinese Meridionale oppone i contendenti tra di loro oltre che contro la Cina: proprio a fine agosto il governo di Taiwan ha riaffermato il diritto di condurre esercitazioni militari dentro e intorno a un’isola controllata da Taipei in quello specchio d’acqua conteso, dopo che il governo vietnamita ha protestato contro manovre tenutasi all’inizio del mese scorso. “Il Vietnam si oppone risolutamente a questo atto e chiede a Taiwan di non ripetere violazioni simili”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri vietnamita Pham Thu Hang, a dimostrazione che a volte non è sufficiente avere un nemico comune per far nascere un idillio.

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