Guerra /

Fino a qualche settimana fa, il centro del mondo sembrava essere Idlib. La roccaforte jihadista nel nord-ovest della Siria si era trasformata nel centro nevralgico delle relazioni internazionali. Era lì il vero nodo da sciogliere. Non solo per il conflitto siriano, ma anche per il futuro dei rapporti fra le potenze coinvolte nella guerra.

La fragile tregua di Idlib

La Russia sosteneva l’avanzata dell’esercito di Bashar al Assad. Recep Tayyip Erdogan minacciava reazioni durissime in caso di attacco. Donald Trump, Emmanuel Macron e Theresa May minacciavano di bombardare di nuovo le forze armate siriane in caso di utilizzo di armi chimiche, come accaduto dopo Douma. E per molto tempo, si è temuto che l’escalation militare giungesse a un punto di non ritorno.





L’accordo fra Erdogan e Putin siglato a Sochi ha poi calmato le acque. Si è formalizzata la cosiddetta buffer zone. E per settimane, complice anche l’attenzione sullo scontro fra Israele e Russia, la tregua ha regnato sovrana. Ma si tratta di una tregua fragile, di una calma apparente. Non c’è pace: c’è solo l’idea che lo scontro è stato posticipato. E adesso si guarda al 27 ottobre, giorno del vertice a quattro a Istanbul fra Russia Turchia, Germania e Francia, per capire quanto possa durare questa tregua.

Erdogan e Putin si erano dato sostanzialmente un mese. In questo arco di tempo, i gruppi terroristi avrebbero dovuto cedere le armi o essere definitivamente eliminati. Nel frattempo, l’esercito siriano ha spostato l’artiglieria pesante come gesto di distensione e i raid aerei si sono fermati. Ma adesso il mese è passato. E da Idlib non sono arrivate notizie estremamente positive. Né sembrano in procinto di arrivare.

I sei punti di Hayat Tahrir al-Sham

Il comando di Hayat Tahrir al-Sham, uno dei gruppi terroristi più forti nel governatorato di Idlib, ha rilasciato una dichiarazione imn cui conferma di ritenere la Russia “una forza occupante”. Come scrive il britannico Express, il gruppo jihadista ha stilato un elenco di sei punti in cui afferma i motivi per cui vuole continuare a combattere dopo la scadenza dei termini.

Il primo punto afferma: “Non rinunceremo al jihad e lotteremo per raggiungere i nostri obiettivi della nostra rivoluzione benedetta che devono abbattere il sistema criminale [il regime di Assad], il rilascio dei nostri prigionieri e il ritorno sicuro dei rifugiati nelle loro case”;Il secondo punto spiega che il gruppo non dimenticherà chi li ha aiutati. Un messaggio politico rivolto ai supporter internazionale del terrorismo;Il terzo punto dice che Hts ha usato le armi per proteggere “i sunniti e liberare la loro terra”Nel quarto punto, i terroristi confermano l’idea di voler creare un’area di sicurezza per la loro gente;Il quinto punto attacca la Russia e afferma che l’Hts apprezza chi ha aiutato i jihadisti a combattere nell’ultimo ridotto di Idlib;Infine, nell’ultimo punto, il gruppo annuncia che tutti i tentativi del governo di “sconfiggere la rivoluzione” falliranno. E che nessuno si arrenderà né a Damasco né a Mosca.Se i terroristi non si arrendono

L’annuncio dei terroristi sul fatto che non cederanno le armi è un segnale abbastanza evidente che a Idlib si sia trattato di una tregua. Una pausa per evitare una potenziale catastrofe umanitaria, come definita dalle Nazioni Unite, che è stata soltanto posticipata. A meno che le potenze coinvolte non puntino a un accordo di più ampio respiro.

Il vertice che si terrà fra una settimana Istanbul potrebbe dare delle risposte. Intorno al tavolo, si ritroveranno il padrone di casa, Erdogan, Putin, Macron e Angela Merkel .Sono loro le potenze che potrebbero avere l’ultima voce in capitolo sull’ultima roccaforte terrorista della Siria occidentale.

Quattro potenze coinvolte a Idlib sotto diversi aspetti. La Francia ha un interesse crescente nella guerra siriana soprattutto in chiavi di espansione della propria influenza. La Germania si è inserita in questi ultimi tempi più per coercizione che per convinzione. Il suo coinvolgimento in Siria è sempre stato latente. Ma gli Stati Uniti hanno chiesto alla Luftwaffe di unirsi a eventuali raid in Siria, e i russi, per le ottime relazioni con i tedeschi, preferiscono avere Berlino al tavolo come rappresentanti europei insieme ai francesi,tendenzialmente molto più impulsivi e in cerca di guerra.

Per Russia e Turchia, è evidente che gli interessi sono enormi. Per la prima, si tratta di sconfiggere un nemico che mette a repentaglio la sua intera strategia nell’ovest siriano. Per la Turchia, si tratta di perdere un’area d’influenza fondamentale a sud del confine. 

Se i terroristi non cedono, lo scontro appare inevitabile. A meno che non ci sia la volontà di dare un’ulteriore scadenza dei termine cercando di trovare un accordo che salvi la faccia dell’Occidente, le ambizioni di Erdogan e i piani di Putin. Compito arduo, ma l’alternativa non è delle migliori: una battaglia che potrebbe essere devastante e creare una nuova ondata di morti e profughi verso la Turchia.

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