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Nonostante in molti abbiano ritenuto inutile il quinto summit di Astana, i leader di Turchia, Russia ed Iran hanno raggiunto un accordo provvisorio ad Ankara riguardo un piano per risolvere il conflitto a Idlib. Secondo questo accordo vi saranno meno operazioni militari ad Idlib da parte del regime con il supporto della Russia. Non ci sarà un’offensiva totale, in quanto Damasco non vuole un “cessate il fuoco” prolungato come invece pretende Ankara. I membri jihadisti verranno rimossi, passo dopo passo, per evitare un nuovo esodo di rifugiati verso la Turchia.

Le autostrade M4 ed M5 che collegano Aleppo a Latakia e Hama verranno liberate dai radicali e rese sicure. Pertanto, le forze del regime riacquisteranno un controllo effettivo su tutte le autostrade principali. A quel punto verrà creata una zona cuscinetto di circa 20 chilometri lungo il confine turco che costeggia per Idlib, dove i gruppi di opposizione legati alla Turchia e gli appostamenti turchi verranno gradualmente ricollocati. Una ritirata lenta e parziale, anziché totale ed improvvisa.

Ankara darà poi gli appostamenti in mano alle forze russe

Ankara spera che la portata ristretta delle operazioni militari non comporti un flusso di rifugiati verso i propri confini. Verranno aperti due corridoi umanitari diretti a Damasco ed Aleppo per permettere ai migranti di fuggire; altri rifugiati verranno condotti nella zona cuscinetto. Inoltre, ci si attende che l’amnistia generale proclamata da Damasco alla vigilia del summit di Ankara possa aiutare a restringere il numero dei rifugiati.

D’altra parte, l’annessione programmata di Idlib dovrebbe impedire la dispersione di membri radicali jihadisti in Siria, Turchia o Russia.

Un’operazione turco-siriana contro i curdi?

Nel frattempo, Mosca e Teheran supporteranno gli sforzi della Turchia per impedire l’affermazione di un’autorità sovrana curda ad est del fiume Eufrate, nel nord della Siria, anche se a certe condizioni. Sia Teheran che Mosca non sono a favore della zona di sicurezza che Ankara sta creando insieme a Washington, dal momento che sono contrari alla presenza di forze statunitensi in Siria. Eppure si oppongono anche ad una singola operazione transfrontaliera da parte di Ankara per organizzare una zona di sicurezza più grande. Hanno proposto invece un’operazione congiunta nella regione, guidata dai turchi, dall’Esercito siriano libero (appoggiato dai turchi) a nord, e dalle forze armate del regime siriano a sud. Di conseguenza, per disperdere le milizie e l’aura politica dei curdi, Washington ed i suoi alleati – ovvero Israele, l’Arabia Saudita e gli Emirati – stanno probabilmente cercando di penetrare in quella zona.

In tal senso, la lettera del ministro per gli Esteri siriano al Segretario generale delle Nazioni Unite, inviata alla viglia del summit di Ankara, è stata piuttosto incoraggiante per la stessa Ankara. In quella lettera, Damasco ha riconosciuto le Forze democratiche siriane sotto la guida delle Ypg (unità curde di protezione civile) come un’organizzazione separatista terroristica sotto il controllo degli USA e di Israele.

Parole dure contro Washington

È da tempo che Ankara si lamenta apertamente della propria cooperazione con Washington nella Siria nordoccidentale. I turchi vorrebbero utilizzare la “zona di sicurezza” per allentare le Ypg curde; Ankara ha infatti combattuto il ramo siriano dei Pkk per decenni e lontano dal proprio confine. Eppure Washington non permette alla Turchia di respingere le Ypg, estendendo i confini della zona. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha recentemente dichiarato che Washington sta cercando di proteggere le Ypg dalla Turchia, e non viceversa instaurando una zona di sicurezza. Ha poi suggerito che quest’ultima dovrebbe venire estesa per ospitare fino a tre milioni di rifugiati siriani rimpatriati. In quest’ottica, il suo incontro con il presidente statunitense Donald Trump programmato durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York è di vitale importanza.

Prima di partire per New York ha dichiarato: “Tutte le nostre attività di preparazione sono state portate a termine lungo il confine. Siamo insieme agli Usa nella Nato e abbiamo continuato la nostra collaborazione strategica per diversi anni”. Ha poi aggiunto: “Ma in un’area dove gli Stati Uniti non sono i benvenuti, non possiamo permetterci di ignorare il supporto che hanno fornito alle organizzazioni terroristiche. In altre parole, è palese il loro supporto a cellule quali Ypg e Pkk”. Erdogan ha sottolineato che la Turchia farà piazza pulita di tali organizzazioni terroristiche ed instaurerà una zona di sicurezza. Se questa sua linea d’azione verrà svolta autonomamente oppure con l’aiuto di Damasco non è tuttavia chiaro.

Cercando l’appoggio dell’Europa

I dettagli del piano verranno ulteriormente discussi con le relative controparti, con Francia e Germania a New York e anche durante il summit siriano del prossimo mese ad Istanbul, a cui parteciperanno Turchia, Russia, Germania e Francia.

Pare che gli Stati garanti del processo di Astana siano molto interessati ad ottenere il supporto sia di Parigi e Berlino che dell’Onu. Questo perché non vogliono presentare il progetto come se si trattasse di un’iniziativa separatista contro l’Occidente; anzi, stanno cercando di renderlo ancora più legittimo agli occhi di tutti collaborando con le potenze europee e le Nazioni Unite. Ecco perché la commissione costituzionale concordata dalle varie parti verrà inaugurata a Ginevra, sulla linea d’onda delle Nazioni Unite.

Ciò è di fondamentale importanza per la Turchia, in quanto i governi occidentali temono che quest’ultima stia diventando sempre più dipendente dalla Russia pur di proteggere i propri diritti in Siria, allentando i tradizionali rapporti di Ankara con l’Occidente.

Questo stesso timore è condiviso dai turchi filo-occidentali, che criticano pesantemente Erdogan e tutti coloro che strizzano l’occhio alla Russia (i cosiddetti “euroasiatici”) per avere allontanato la Turchia dall’Occidente e aver minacciato gli interessi nazionali alleandosi con il regime autoritario russo.

Il processo di Astana potrebbe spianare la strada ad un’alleanza regionale

Eppure ci sono diversi punti di rottura tra Mosca ed Ankara sulla Siria. Nonostante la pressione di Mosca, ad esempio, Erdogan non si è ancora avvicinato a Bashar al Assad. Pertanto, vista la situazione di tensione nella regione suscettibile ad ogni stimolo, l’accordo raggiunto ad Ankara traballa eccome. Tuttavia, quelle condizioni dettano una collaborazione tra i garanti di Astana. Dunque il destino di Idlib diventa una questione fondamentale, non solo per la risoluzione delle crisi in Siria, ma anche per il proseguimento dell’alleanza tripartita nel Medio Oriente.

 

Traduzione a cura di Stefano Carrera

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