Per la Siria, la guerra non è finita. Mentre Daraa e Quneitra tornano sotto l’esercito di Bashar al Assad, gli strateghi a Damasco preparano l’offensiva verso l’ultima e fondamentale roccaforte nemica: Idlib. Ed è qui che si prepara quella che il sito libanese Al Masdar ha definito, non a torto, “la madre di tutte le battaglie”.
Le mosse dell’esercito siriano
Secondo il sito libanese, le truppe d’élite dell’esercito siriano, le Forze Tigre, hanno già messo gli occhi sul governatorato di Idlib. Una volta terminato con il bacino dello Yarmouk, dove lo Stato islamico continua a impegnare l’esercito e le milizie alleate, le forze di Damasco si concentreranno sul nord-ovest del Paese.
L’obiettivo, a detta delle fonti, è prima di tutto la riconquista della Piana di Al-Ghaab e di tutto il distretto di Jisr Al-Shughour. Mentre le forze speciali si concentreranno su quest’area, la Guardia repubblicana siriana e la Quarta Divisione corazzata si dirigeranno verso Jabal Turkmen e Jabal Al-Akrad, nei pressi di Latakia.
In questo modo, sarà possibile garantire la sicurezza del confine fra Siria e Turchia e fermare ogni possibile avanzata delle truppe di Ankara o ad essa legate, come avvenuto nel nord nei cantoni curdi. Saranno loro le colonne portanti delle riconquista del nord-ovest della Siria.
Insieme all’esercito e alle milizie, potrebbero unirsi anche i curdi. Come abbiamo scritto in queste ore, i combattenti del Rojava potrebbero unirsi all’esercito siriano nell’assedio di Idlib come parte dell’accordo per il post-conflitto. Ad Assad servono uomini, mentre ai curdi servono garanzie che solo la guerra può dare. E i nemici, jihadismo e influenza turca, sono gli stessi.
La Russia continua a inviare armi
Le forze armate russe preparano l’offensiva sulla provincia di Idlib da molte settimane. Come avevamo scritto su questa testata, i delegati di Mosca inviati a Daraa per convincere i ribelli a firmare la resa dissero ai miliziani di non andare nel nord come gli altri gruppi armati. I russi consigliarono ai ribelli di cedere le armi e riconoscere subito il governo di Damasco, perché dopo il sud, l’obiettivo sarebbe stato proprio la città del nord-ovest.
L’aviazione russa è da molti mesi impegnati in raid contro la città controllata dai jihadisti. Ma non ha mai iniziato a martellare in maniera profonda la provincia. Di solito sono attacchi che avvengono in risposta a colpi inferti dai gruppi presenti nell’area.
Negli ultimi mesi, ad esempio, sono aumentate le operazioni dei miliziani locali con i droni contro la base dell’aeronautica russa di Khmeimim. A febbraio, invece, l’aviazione russa scatenò una pioggia di fuoco su Idlib in risposta all’abbattimento del Su-25 del pilota Roman Filipov. Tutti ricorderanno il gesto del militare russo, che si fece esplodere per non cadere nelle mani dei nemici.
Adesso, con la prossima fine dell’offensiva del Sud, le forze di Vladimir Putin possono concentrarsi sull’area più vicina alle proprie basi. Tra Latakia, Khmeimim e Tartus, aeronautica e marina russa preparano la liberazione di tutta la regione prossima ai principali centri di comando russi in Siria. Non a caso, negli ultimi giorni sono state avvistate navi provenienti dal Bosforo cariche di armi e mezzi per l’esercito siriano. Un via vai che dura da anni e che si intensifica ogni volta che è imminente una nuova campagna.
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Idlib e la Turchia
La provincia di Idlib è da sempre una delle chiavi della strategia turca nella guerra in Siria. Recep Tayyip Erdogan ha telefonato in questi giorni al presidente russo proprio per discutere della città nel nord-ovest siriano. Posta a pochi chilometri dal confine turco, Idlib è stata sempre monitorata da Ankara.
Quando il cosiddetto blocco di Astata decise la via delle de-escalation zones, alla Turchia fu concessa la responsabilità della provincia nordoccidentale siriana sia per evidente motivi geografici, sia soprattutto perché in grado di controllare la galassia di ribelli che aveva preso il controllo della città e della regione: in particolare, l’Esercito siriano libero.
In questo gruppo, che ha avuto culla proprio nella provincia di Idlib, sono confluite da subito sigle del fondamentalismo islamico, sotto la supervisione di Erdogan. Questi ultimi, a loro volta, saranno poi sconfitti dai rami locali di Isis e Al Qaeda, in una guerra fratricida del terrorismo.
Con la de-escalation zone, l’esercito turco ha istituito posti di osservazione in tutta la regione della Siria nord-occidentale. Avamposti che hanno spesso rappresentato ostacoli strategici e politici per l’esercito siriano. Assad sapeva che, in quell’area, non poteva andare oltre.
Ma adesso, la situazione è cambiata. Idlib non è più uno dei tanti fronti della guerra di Damasco: adesso è il fronte di guerra. Erdogan si trova in una posizione molto scomoda. Continua a difendere gli jihadisti dell’area, ma, allo stesso tempo, sa che non potrà durare a lungo. Sa che potrebbe perdere le sue velleità di controllare l’area, ma non può a sua volta mettersi contro Putin, prezioso partner politico per il Medio Oriente.
Il rischio che gli accordi di Astana finiscano con Idlib è molto alto. Ma era qualcosa che tutte le parti in gioco potevano attendersi. L’accordo fra Siria e Turchia di mandare tutti i ribelli a nord con i pullman è sempre apparso come un voler rimandare il problema una volta finita la riconquista della Siria da Damasco fino al confine con Israele e Giordania. Un problema che sarebbe stato risolto nell’unico modo possibile: la battaglia finale.
La madre di tutte le battaglie
Nella provincia stanno continuando a confluire tutti i ribelli che non si sono arresi a Damasco. Ma non ci sono solo loro. Idlib, in questi anni, si è trasformata nell’ultima roccaforte del terrorismo islamico. Tutte le sigle stanno convergendo da mesi con l’idea che lì avranno la battaglia finale con l’esercito siriano e l’aeronautica russa.
Sembra di assistere alla catarsi finale. In quella terra ci sono tutti, dai ceceni sconfitti da Putin nelle guerra caucasiche agli uiguri giunti dalla Cina per sostenere il Califfato. Insieme a loro, tutti i combattenti dello Stato islamico fuggiti da tutte le parti della Siria, altri dall’Iraq: foreign fighters e ribelli uniti per combattere Assad. C’è Al Qaeda, nella sua declinazione siriana. E ci sono, come detto, tutti i ribelli che non si sono arresi all’esercito siriano, da quelli della Ghouta orientale a quelli di Daraa e Quneitra.
C’è qualcosa di profondo e altamente simbolico nel definire la battaglia di Idlib come “madre”. Sembra difficile soltanto accostare la bellezza di una parola che collega alla vita a un assedio che condurrà alla morte di centinaia di uomini, da una parte e dall’altra. Ma Idlib sarà anche una madre: la madre di un nuovo futuro. Da questo assedio si deciderà il destino della Siria. E sembra che solo da questa battaglia potrà esserci un nuovo inizio.