L’ultima sacca dei terroristi, quella di Idlib, sta per essere definitivamente sconfitta. Le forze russe e siriane bombardano senza sosta l’ultima roccaforte jihadista in Siria, per lo più dominata dalle frange legate ad Al Qaeda. E dalla battaglia arrivano le prime voci del dissenso del terrorismo islamico in Siria, ormai abbandonato dai suoi stessi leader. A ricordarcelo è Semprini, su La Stampa, che riporta i drammatici dialoghi telefonici fra terroristi intercettati dall’intelligence. “È il comandante Abou Motassam che vi parla, attenzione combattenti, non c’ è più niente da fare, conviene andarsene. Siamo stati venduti, è finita”. In queste conversazioni s’intravede l’incubo dei terroristi assediati, che adesso accusano direttamente i leader jihadisti: “Non avete combattuto per Dio ma per il denaro”. Un’accusa che dimostra quello che tutti sostenevano, che era il fiume di denaro proveniente da fonti ancora poco chiare a muovere gli eserciti, e non certo il radicalismo islamico, semmai semplice cornice di un quadro composto da traffici illeciti, petrolio, denaro, droga e mercenari. Non ribelli ma semplici mercenari assassini, che vedevano nello Stato islamico la soluzione a una vita di povertà ai margini della società mediorientale, africana, ma anche europea e asiatica, come dimostrano i numerosi foreign fighters giunti da ogni parte del mondo.
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“Cosa stiamo aspettando? I jet russi colpiscono, i jet siriani colpiscono, le forze di terra avanzano, colpiscono al Maarah, Sarakeb, Bab Al Hawa, al Khan colpiscono ponti, strade palazzi, vogliono spazzarci via” si legge dai resoconti delle conversazioni. E mentre l’assedio continua inesorabile, è scattata anche la guerra fratricida da islamisti come resa dei conti di un gioco più grande di loro. Ogni gruppo aveva il suo mandante: sauditi, qatarioti e turchi in primis. E adesso, con il Qatar bloccato dai sauditi, l’Arabia impegnata a dimostrare di non sostenere il terrorismo e con la Turchia che ha abbandonato lo jihadismo siriano per finirla con i curdi, le sigle ribelli non hanno più soldi, armi né sostegno politico. Una catastrofe per loro, mandati avanti dalle promesse di rovesciamento di Assad e che adesso pagano l’intervento russo, delle milizie sciite, e dell’esercito di Damasco. Traditi dai loro capi, dimenticati dalle potenze che li hanno sostenuti, braccati dalle forze alleate della Siria, tra gli jihadisti è panico.
Chi è arrivato lì per soldi, per fini politici, coadiuvato dalle potenze nemiche di Assad, ora cerca la fuga. Disperato, senza nient’altro che la propria vita da salvare e provare a salvare le proprie famiglie. Ma c’è chi, lontano dal gioco politico del Golfo, continua a ingrossare le fila di Idlib, consapevole che lì si gioca tutto. Sono i terroristi che arrivano dai Paesi alleati di Damasco, coloro che non hanno veramente più nulla da perdere, perché sanno che la loro guerra allo Stato o si gioca in Siria o si traduce in una condanna a morte. Sono i ceceni, sono i terroristi dell’Asia centrale, sono gli uiguri. Gente che ha combattuto la propria guerra contro lo Stato cui appartengono in Siria e che in Siria rimarrà per completare la missione. Come riportano le fonti locali, colonne di milizie uzbeke, cinesi uigure e provenienti dalle regioni islamiche del Caucaso, hanno ormai raggiunto la provincia di Idlib. Questi gruppi popolano il fronte ribelle in Siria da anni ed è uno dei motivi per cui Cina e Russia hanno supportato la resistenza di Assad e la sua riconquista della Siria. Lasciare il campo allo jihadismo era, infatti, una pericolosa minaccia per la propria sicurezza interna, prima ancora che per la propria politica mediterranea e mediorientale. La maggior parte di loro disputa parte del Partito islamico del Turkestan e di Tahrir al-Sham. Il primo raccoglie i terroristi dell’Asia centrale, in particolare gli uiguri dello Xinjiang, e vuole fondare una sorta di califfato del Turkestan orientale. Il secondo, la costola di Al Qaeda in Siria, è il frutto della rimodulazione dei movimenti salafiti in Siria ed è nato più o meno all’inizio del 2017.