Ecco qualche stralcio di alcuni dei molti reportage realizzati in questi due anni, vissuti sempre in prima linea. Dalla Somalia all’Iraq, passando per l’Afghanistan, la Repubblica Centrafricana, la Siria, l’Azerbaijan…
Somalia 2015
Superato il primo check-point si materializzano i fotogrammi della storiografia somala, che sembra aver arrestato l’incedere del tempo con i suoi miliziani, le case sventrate e i pick-up con installate le mitragliatrici. Vent’anni di conflitto civile, attori sconfitti, comparse divenute protagonisti, signori della guerra e jihadisti. La tragedia sul palcoscenico della realtà: Mogadi-show.
Libia 2015
Le bocche s’aprono in un urlo “tayara, tayara” Aereo, aereo. Alì e gli altri ex gheddafiani alzano gli occhi al cielo, ma è troppo tardi. I due missili sono già qui. Passano con un sibilo sinistro, s’infilano nella fattoria, esplodono con un boato devastante mentre una pioggia di schegge invade l’aria. Ora siamo a terra, la faccia schiacciata nel terreno. Alì alza il pugno al cielo. “Sono quelli di Fajr Libia, gli islamisti che governano Tripoli e bombardano ogni giorno perché vogliono impedirci di tornare alle nostre case”. Siamo alle porte di Azizya, 35 chilometri a sud di Tripoli. Qui passa il nuovo fronte della guerra civile libica…
Kurdistan 2015
“Questa è la direzione d’attacco contro l’Isis. Ok?”, urla un paracadutista del 187° reggimento Folgore tracciando frecce e posizioni sulla sabbia. Le reclute curde in mimetica verde attorno a lui rispondono come un sol uomo: “Ok”. E scattano a prendere posizione per l’addestramento a fuoco organizzato dai soldati italiani, in prima linea nel nord dell’Irak per arginare il Califfato. Colpo in canna e sdraiati a terra i curdi cominciano a sparare verso delle sagome. Poi rotolano e si alzano avanzando di corsa, come un vero assalto contro le bandiere nere. Alle spalle di ogni combattente curdo, i leggendari peshmerga, un basco amaranto della Folgore li incita e indica la direzione di tiro.
Turchia 2015
I trafficanti stipano quaranta persone su un gommone che potrebbe portarne sì e no sette. Si vede dalla linea del galleggiamento che raggiunge quasi il bordo superiore del canotto. A pochi metri dalla riva, un uomo l’ultimo scafista salta in acqua e torna a terra. Ci muoviamo per avvicinarci ancora un po’, quando sentiamo dei passi. Tre metri dietro di noi c’è un uomo in camicia, che fuma. È uno degli scafisti. Altri due gommoni partiranno da questa spiaggia. Sulla battigia lavora una ventina di persone caricando i profughi e lanciando a bordo i bagagli. Non parlano inglese, ma ci dicono solo di essere “amici del popolo siriano”.
Iraq 2014
“A mio padre hanno chiesto due volte di convertirsi all’islam e lui si è rifiutato. Siamo cristiani da sempre. Allora gli hanno tagliato il naso e la lingua” racconta Almas Elias Polos, una ragazzona vestita di nero scappata da Karakosh, la città occupata dal Califfato nel Nord dell’Irak. Davanti ad una statuina della madonna di Lourdes, nell’ex seminario di Baghdad, che ospita i cristiani in fuga dallo Stato islamico, descrive la persecuzione. “Poi hanno cominciato a spezzargli le ossa delle braccia e delle gambe – racconta Almas – È stato lasciato in vita per un giorno ad agonizzare con indicibili dolori. Alla fine lo hanno ammazzato scaricandogli addosso sette proiettili”. Il martire cristiano si chiamava Elias e aveva 52 anni.
Afghanistan 2014
A vederli i soldati afghani ricordano un po’ l’armata Brancaleone. La colonna avanza lungo una pista sabbiosa, che si insinua in una valle ferma al passato con case piatte di fango e paglia attorniate da montagne brulle e selvagge. Il giovane con una cicatrice sulla guancia, che vuole vedere la fine della guerra è un pasthun, l’etnia maggioritaria in Afghanistan, serbatoio dei talebani. Altri sono tajiki, la seconda etnia del paese, con i nastri di proiettili attorno al collo e occhiali da sole alla Rambo. Per darci il benvenuto i militari sparano un razzo a spalla Rpg e quando fa il botto gridano “welcome”.
Siria 2014
Ai colpi di mortaio si è aggiunta la voce roca delle mitragliatrici pesanti e il ticchettio delle armi automatiche. Il tutto in un coacervo di echi ed esplosioni che rende impossibile comprendere da dove arrivino i colpi. E chi spari a chi. I palazzi crivellati di colpi sono ruderi abbandonati. Il governatore di Aleppo, Abu Abdu, te ne indica uno. «Era la Camera dell’Industria, hanno costruito un tunnel e l’hanno fatta saltare».