Dopo settimane di stallo diplomatico in Ucraina si torna finalmente a parlare di negoziati. Nel corso di un’intervista rilasciata al canale Ictv, Volodymyr Zelensky ha dichiarato che i negoziati con la Russia “sono possibili”, in quanto “è stata rispettata la condizione posta” e “le vite dei difensori di Mariupol sono state preservate”.
Qualche giorno prima anche Mosca aveva lanciato segnali analoghi, facendo capire che la Russia era pronta a tornare al tavolo delle trattative con l’Ucraina. Il Cremlino ha posto una sola condizione: Kiev deve dichiararsi disponibile. Il vice ministro degli Esteri russo, Andrei Rudenko, citato dall’agenzia Interfax, è stato chiaro: “Non siamo stati noi a interrompere il processo negoziale, ma sono stati i nostri partner ucraini a metterlo in pausa”.
“Non appena si diranno disponibili a tornare al tavolo dei negoziati, ovviamente risponderemo affermativamente. La cosa principale è che ci sia qualcosa di cui discutere”, ha aggiunto Rudenko.
In attesa di capire che cosa accadrà da qui alle prossime settimane, può essere utile chiamare in causa un episodio storico che potrebbe anticiparci l’esito finale dei negoziati.
La lezione coreana
A dire il vero la questione coreana in riferimento all’Ucraina è già stata tirata in ballo, in particolare per delineare come potrebbe trasformarsi il territorio di Kiev al termine della guerra. C’è, infatti, chi ha ipotizzato un’Ucraina divisa in due Stati distinti, uno protetto dalla Russia, l’altro dal blocco occidentale, sul modello di quanto accaduto alla penisola coreana alla fine della Guerra di Corea (1950-1953).
Ma da questa terribile guerra combattuta nel cuore dell’Asia è possibile annotare qualche altra lezione, forse più concreta utile rispetto alla possibile spartizione di Kiev.
Nel contesto ucraino la Russia si è quasi subito seduta al tavolo delle trattative, eppure non ha mai smesso di bombardare o di avanzare sul territorio. Kiev e il blocco occidentale, concentrati solo sulle trattative, hanno accusato Mosca di voler sfruttare i colloqui di pace per facilitare la conquista l’Ucraina.
In realtà siamo di fronte a due modi diametralmente opposti di concepire la negoziazione. Dal punto di vista americano, in pratica lo stesso adottato da Zelensky, guerra e pace costituiscono due fasi di guerra ben distinti: quando iniziano i negoziati, l’applicazione della forza deve cessare per lasciare spazio alla diplomazia.
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Due modi di intendere i negoziati
Washington ha sposato questa linea anche in Corea, quando, durante i colloqui, alle forze statunitensi fu ordinato di limitarsi a misure difensive e di evitare l’avvio di misure offensive su vasta scala. Secondo questa visione, ben sintetizzata da Henry Kissinger nel suo fondamentale Ordine Mondiale, la forza è necessaria per produrre il negoziato, poi deve rimanere in disparte.
Non la pensavano affatto così i cinesi, intervenuti nel conflitto coreano per sostenere i coreani. Il punto di vista cinese, infatti, si è rivelato sostanzialmente opposto rispetto a quello statunitense. Per i cinesi, guerra e pace erano due facce della stessa medaglia, mentre i negoziati non erano altro che un prolungamento del conflitto su un altro campo di battaglia.
“La riduzione dell’impegno sul campo da parte dell’avversario – scrive Kissinger – era un segno di debolezza da sfruttare incrementando il proprio vantaggio militare”. Del resto Sun Tzu spiega nell’Arte della Guerra che il confronto essenziale di ogni guerra è di carattere psicologico, e che influenzare i calcoli dell’avversario è necessario per intaccare la sua fiducia nel successo.
Insomma, cinesi e coreani sfruttarono la situazione di stallo dei negoziati per accrescere il disagio dell’opinione pubblica americana. Non è un caso che gli Stati Uniti subirono tante perdite quante ne avevano contate durante la fase offensiva della guerra proprio durante i negoziati.
Alla fine delle ostilità ognuna delle due parti conseguì il proprio obiettivo. Gli Stati Uniti riuscirono, seppur ad un prezzo altissimo, a salvaguardare l’integrità territoriale della Corea del Sud; la Cina aveva evitato che gli americani potessero avvicinarsi ai suoi confini, mentre i nordcoreani avevano consolidato il loro Stato comunista. L’esito fu un sostanziale pareggio.
L’Unione Sovietica, al contrario, può essere considerata la maggiore perdente del roaster. La Guerra di Corea, incoraggiata da Mosca, si sarebbe presto ritorta verso il Cremlino, visto che, oltre a gettare i semi della diffidenza sino-sovietica, quel conflitto avrebbe spinto gli Stati Uniti a riamarsi. Ripassare, o meglio studiare, questi passaggi potrebbe rivelarsi fondamentale per sciogliere il nodo ucraino nel miglior modo possibile.