“Il Corpo dei Marines non è organizzato, addestrato, attrezzato o pensato per andare incontro alle esigenze dell’ambiente operativo in rapida evoluzione del futuro. È necessario un cambiamento per garantire di essere allineati con la National Defense Strategy e la Defense Planning Guidance, e inoltre, per essere pronti a soddisfare le esigenze della flotta nell’esecuzione di concetti operativi navali attuali ed emergenti”.
Le parole del neocomandante dei Marines, il generale David H. Berger, messe per iscritto nella Commandant’s Planning Guidance, il documento reso noto al momento del suo insediamento avvenuto a luglio dell’anno scorso, sono sufficienti per capire la rivoluzione che è in atto nel corpo anfibio più famoso al mondo. A quasi un anno dal suo insediamento, i Marines stanno letteralmente cambiando pelle, per indossarne una più consona al mutato scenario globale che vede, come già arcinoto, la presenza ingombrante della Cina in quello che per gli Stati Uniti è stato da sempre il “giardino di casa”: l’Oceano Pacifico.
Sarebbe meglio dire che il Corpo sta reindossando la sua vecchia pelle, in quanto, come vedremo, le modifiche lo riportano ad essere quello strumento flessibile anfibio che si era un po’ perso per strada durante quasi venti anni di conflitti asimmetrici in Asia e Medio Oriente. A tal proposito il generale Berger ha sottolineato che i Marines sono “una forza anfibia che può proiettarsi a terra, non una forza terrestre che può imbarcarsi sulle navi” a ribadire quella che è sempre stata la vera natura del Corpo sin dalla sua fondazione.
Via quindi ad uno snellimento, certificato dalla Force Design 2030 edita a marzo di quest’anno, che prevede di ridurre drasticamente il numero di effettivi e contestualmente quello dei mezzi, ma che non intaccherà la funzione primaria dei Marines, ovvero essere un contingente di forze anfibie in massima prontezza operativa che agisce in supporto alle operazioni navali all’interno di spazi marittimi attivamente contesi. Andando nello specifico i Marines tornano al loro compito “anfibio” ma in funzione di contrasto alla nuova minaccia data dalle bolle A2/AD, ovvero per instaurare delle “contro bolle” per attività di contro denial che scombinino il sistema difensivo nemico in modo che questi non possa affrontare la rapida escalation della crisi e per costringendolo a subire l’iniziativa tattica invece che imporla.
Quest’ultimo principio è anche alla base dell’utilizzo del Corpo come deterrente o come strumento di rapida risposta che eviti scenari da “fatto compiuto” , ovvero quei piccoli ma costanti colpi di mano che, sommati, portano al raggiungimento di una condizione che, per essere mutata, richiederebbe il ricorso ad un conflitto di più alto livello.
Il riferimento, neanche troppo velato, è alla Cina e alla sua condotta nel Mar Cinese Meridionale, dove il lento ma costante aumento della presenza nelle isole contese di quel mare ha condotto, nell’arco di pochi anni, a una situazione in cui gli insediamenti sono diventati non solo permanenti, ma anche militarizzati, in barba alla rassicurazioni originarie di Pechino: un modus operandi, quello cinese, che prende il nome di “fetta di salame”, cioè aumentare lentamente il coinvolgimento senza però azioni che possano essere un casus belli.
Pertanto i Marines tornano al passato che li ha resi una delle forze anfibie migliori al mondo, se non la migliore, con uno snellimento dottrinale che ne comporta uno operativo: gli organici saranno ridotti di 12mila unità da qui al 2030, verranno eliminate le compagnie di carri pesanti e tutto quello che logisticamente vi è alle spalle, verrà fortemente ridotta la componente di artiglieria a traino meccanico mentre spariranno gli Uav a corto raggio, per privilegiare altri settori considerati più idonei all’impiego “usuale” del Corpo, ovvero la capacità di fuoco di precisione a lungo raggio, la difesa aerea e l’utilizzo di Uav ad alte prestazioni.
Spariranno quindi i carri M-1A1 Abrams con le insegne dell’Usmc nonché le compagnie del genio pontieri che erano specializzate per il traffico pesante. Ridotte anche le compagnie di assalto anfibio che passeranno da 6 a 4 mentre aumenteranno quelle basate su veicoli blindati da ricognizione Lav: da 9 a 12. La componente di artiglieria sarà principalmente basata sull’utilizzo di sistemi missilistici a lungo raggio (500 Km) come l’Himars che saranno integrati anche dall’acquisizione di un sistema antinave per assicurare le capacità di “contro bolla”.
Interessante è notare che con la fine del trattato Inf la nuova postura tattica per i Marines prevede che possano dotarsi di sistemi balistici a raggio medio e intermedio: si sta infatti pensando a un sistema Glcm (Ground Launched Cruise Missile) basato sul Tomahawk navale. Per quanto riguarda l’arma aerea gli stormi dell’Usmc resteranno 18 ma cambierà il numero di velivoli assegnati (10 ciascuno) e saranno concentrati sull‘F-35B proprio per via della sua capacità di perforare le bolle A2/AD grazie alle sue proprietà di invisibilità radar ed elettronica.
Insomma per contrastare la minaccia cinese nell’Indo-Pacifico i Marines dovranno disfarsi dell’assetto pesante che hanno ereditato sin dai tempi di Desert Storm, il conflitto nel Golfo Persico del 1991, e tornare a essere una forza leggera e flessibile che può essere dispiegata rapidamente in grado di autosostentarsi per lungo tempo: in altre parole la dottrina e la tattica di impiego devono essere cambiate e adeguarsi alle nuove contingenze allargando il proprio raggio d’azione e preparandosi ad operare in teatri differenti rispetto al recente passato, con un elevato grado di integrazione con le forze degli alleati degli Stati Uniti, ma soprattutto prendendo in considerazione l’interconnessione con gli altri scenari della guerra moderna, ovvero la Cyber Warfare, la Space Warfare e l’Electronic Warfare, in un complesso palcoscenico che può assumere anche le connotazione della guerra ibrida con l’Information Warfare.
Affinché i Marines possano espletare al meglio questi compiti è stata necessaria anche una revisione del concetto di strutturazione delle unita di combattimento: il Corpo non potrà più fare affidamento sulle basi avanzate americane nell’area indopacifica (Guam, Okinawa ecc) né sulla concentrazione di grossi gruppi navali, in quanto entrambe sono ormai ben all’interno del raggio d’azione della minaccia missilistica cinese, che ormai è diventata credibile proprio per i progressi nel campo della tecnologia ipersonica, o anche solamente per l’aumentata precisione e capacità di manovra data dai sistemi di guida.
Per ovviare a questo problema la ristrutturazione dei Marines prevede che si passi dalle grandi unità anfibie, Meb (Marine Expeditionary Brigade) e Meu (Marine Expeditionary Unit), a gruppi di combattimento di dimensioni più limitate ma ben equipaggiati e ben addestrati in modo da operare in maniera autonoma per lungo tempo con limitate esigenze di rifornimento. Una riforma importante e complessa che potrebbe incappare in rallentamenti dati dalla crisi pandemica che ha colpito duramente tutti i settori dell’economia americana e quindi, di riflesso, le Forze Armate, e pertanto potrebbe arrivare tardi per arginare l’espansionismo cinese, nonostante i buoni propositi dati dall’Indo-Pacific Reassurance Initative che paradossalmente potrebbe assorbire tutti i fondi disponibili.