Gli attacchi alle raffinerie petrolifere di Abqaiq e Khruais in Arabia Saudita, dello scorso 14 settembre, hanno dimostrato che i sistemi difensivi poco possono contro la minaccia portata da uno sciame di droni e da missili da crociera in volo a bassa quota. I 18 droni e i 7 missili cruise che hanno colpito le raffinerie, stando ai dati pubblicati dal ministero della Difesa saudita, non hanno incontrato difficoltà ad eludere i sistemi Patriot, i cannoni Oerlikon GDF da 35mm equipaggiati con il radar Skyguard e lo Shahine, ovvero la versione modificata del sistema di difesa di punto francese Crotale. Un “fallimento” che rappresenta la realizzazione dei peggiori timori degli analisti, cioè l’incapacità degli attuali sistemi di difesa aerea di fermare attacchi del genere.

Un problema di posizionamento dei radar?

Stando ad alcune analisi, pubblicate su Twitter da un ricercatore del James Martin Center per gli studi sulla non proliferazione, sembrerebbe che la potenziale inefficacia dei sistemi difensivi in dotazione ai sauditi sia in realtà minore, soprattutto per quel che riguarda allo statunitense Patroit. I radar del prodotto di Lockheed Martin, infatti, non sarebbero stati attivati e se lo fossero stati avrebbero incontrato comunque molte difficoltà nel rilevare i droni in arrivo essendo, in parte, schermati dalle strutture dell’impianto petrolifero. Un problema non dovuto a difetti del Patriot, ma imputabile al posizionamento non perfetto delle batterie difensive da parte dei sauditi. Discorso diverso per i radar degli Oerlikon GDF e degli Shahine che hanno entrambi un range di individuazione di aerei in volo di circa 20 km, che scende di molto se si tratta di droni di piccole dimensioni. Riducendo la distanza di rilevamento diminuisce anche il tempo di reazione e di decisione degli uomini, facendo così incrementare le possibilità di non riuscire a neutralizzare la minaccia. Se in linea teorica un drone o un missile da crociera sarebbe intercettabile, il problema sorge quando un’infrastruttura o un’installazione militare critica viene attacca contemporaneamente da più parti. Un attacco congiunto di più droni e più missili cruise potrebbe sopraffare le capacità difensive anche del sistema più avanzato, rischiando di recare seri danni.

Gli investimenti per il futuro

Per affrontare una situazione del genere è necessario investire affinché possa migliorare la capacità di rilevare minacce a bassa quota, anche se per limiti fisici rimarrà impossibile per un radar individuare per tempo un oggetto di medio-piccole dimensioni in volo radente al suolo. Il controllo delle bassissime quote dovrebbe essere affidato a una rete capillare di sistemi per la difesa di punto, come ad esempio il cannone rotante statunitense Vulcan Phalanx (Ciws, Close-In Weapons System). Ma se questo è possibile per difendere una nave, un’installazione militare o una infrastruttura strategica, rimane comunque praticamente impossibile controllare tutto un territorio di uno Stato per scongiurare attacchi. L’alternativa sarebbe indirizzare gli investimenti per lo sviluppo di sistemi di difesa a laser, che stanno dimostrando la loro efficacia nei test della marina statunitense ma che sono ancora lontani dall’essere pienamente operativi. Ciò nonostante, però, l’arma non cinetica è destinata a diventare il principale strumento difensivo in uso nei principali Paesi occidentali, e non.

Un rischio per gli aeroporti?

Finché la situazione rimarrà quella attuale un attacco, con sciami di droni o con un numero sostenuto di missili da crociera, sarebbe difficilmente contrastabile. Questo vale per le installazioni militari, così come per le infrastrutture considerate rilevanti strategicamente perché l’esempio dell’attacco alle raffinerie saudite è la riprova che gli obiettivi possibili sono molteplici. Tra questi vi potrebbero essere gli aeroporti, dove è all’ordine del giorno il problema dei droni in volo negli spazi aerei specialmente a seguito della chiusura per quasi tre giorni dello scalo di Londra-Gatwick lo scorso dicembre. Finora ogni volo di un drone nei pressi degli aeroporti è stato o accidentale o per manifestare, ma potrebbero diventare anche un obiettivo per un attacco terroristico volto a provocare un blocco ai voli, causa di ingenti perdite economiche. Se una raffineria di petrolio protetta da diversi sistemi difensivi è stata colpita duramente da uno sciame di droni, potenzialmente i danni provocati a un aeroporto sarebbero decisamente maggiori.

Nonostante finora siano stati pochi gli attacchi di questo genere, aumentare le capacità difensive, anche delle infrastrutture civili, dovrebbe essere una priorità. L’obiettivo deve essere quello di garantire un’efficace risposta nel caso di un attacco simile a quello subito dalle raffinerie saudite, assicurando la sicurezza delle installazioni militari e di tutte le infrastrutture strategiche.