In Africa, almeno negli ultimi anni, gran parte dei golpe è andata a segno. Lo si è visto, giusto per citare gli ultimi esempi, in Niger e Gabon nelle scorse settimane. Tuttavia non sempre le azioni militari volte a rovesciare i governi possono avere successo. Nel corso della storia recente spesso il repentino cambio della guardia al potere non è riuscito. A incidere sul fallimento dei golpe sono diversi fattori. A partire dall’appoggio interno da parte degli stessi militari, passando poi per il radicamento territoriale del governo che si vuole defenestrare. Non sono mancati i casi in cui i colpi di Stato si sono rivelati poi poco meno di sventurate iniziative, poco organizzate e poco sostenute.

I casi di Italia e Spagna sul finire del Novecento

Sembrerebbe che putsch e golpe siano oramai un’esclusiva di altri continenti fuori dall’Europa e dall’orbita occidentale. In realtà, di colpi di Stato ne sono stati registrati diversi nel nostro continente e anche in epoche molto recenti. Eclatante il caso della Grecia del 1967, quando ad Atene si è insediata una giunta militare che ha governato all’ombra dell’Acropoli fino al 1974.

Il golpe ellenico non ha rappresentato un caso isolato. A Roma ad esempio, i blindati militari hanno fatto la loro comparsa lungo le strade durante la notte del 7 dicembre 1970. Si è trattato del cosiddetto Golpe Borghese, dal nome del generale Junio Valerio Borghese che l’ha guidato. In quella notte, ha avuto luogo uno degli episodi più controversi del nostro secondo dopoguerra.

Alcuni ministeri chiave sono stati circondati da colonne di blindati guidati da militari e da almeno 200 uomini della Forestale. Alcuni di loro si sono anche avvicinati alla sede della Rai. Poi è arrivato un improvviso e mai del tutto chiarito dietrofront ordinato dallo stesso Borghese. L’Italia il giorno dopo ha celebrato la festività dell’Immacolata ignara di quanto accaduto poche ore prima. I dettagli emergeranno diversi mesi dopo, scatterà inoltre un lungo processo che però non ha mai portato all’accertamento della verità.

Se il mancato golpe italiano è avvenuto nel silenzio di una notte romana, in Spagna invece i tentativi di insurrezione sono stati ripresi platealmente in diretta. Durante la seduta del Congresso dei Deputati del 23 febbraio 1981 infatti, un uomo in divisa e armato è entrato all’interno dell’emiciclo minacciando tutti i presenti e ordinando di rimanere in silenzio. Si trattava del generale della Guardia Civil Antonio Tejero. La sua azione era appoggiata da alcuni settori dell’esercito spagnolo, i quali mal digerivano il percorso di transizione avviato dopo la fine dell’era franchista. Tejero, assieme agli altri artefici del tentativo di colpo di Stato, non hanno ricevuto né l’approvazione unanime dei generali e né quella di Re Juan Carlos. Con un discorso pronunciato in Tv in quella stessa notte, quest’ultimo ha contribuito a far definitivamente fallire il golpe.

Il caso eclatante della Turchia

Un esempio di fallimento di un colpo di Stato di recente è arrivato dalla Turchia. Il Paese, una delle principali forze militari della Nato, ha vissuto la sua notte più lunga il 15 luglio 2016. Nel mirino di una parte dell’esercito la più che decennale esperienza al governo del presidente Recep Tayyip Erdogan. Per Ankara non si è trattato di una novità. La storia turca è stata caratterizzata da diversi colpi di Stato riusciti. I militari si sono spesso imposti nel Paese quali tutori dell’ordine laico voluto da Ataturk, intervenendo quando invece i governi in carica hanno provato a virare verso una maggiore influenza dell’Islam nella politica e nella società.

Erdogan, al potere dal 2002, è alla guida di un partito (l’Akp) considerato conservatore e vicino alla galassia dell’Islam politico. Il golpe, iniziato in tarda serata con l’impiego di carri armati per le strade di Istanbul e Ankara, aveva come obiettivo proprio quello di rovesciare Erdogan. Nel giro di poche ore però, l’azione dei militari si è avviata verso il fallimento. Molti cittadini sono scesi in piazza per bloccare i carri armati ed entrare nelle sedi televisive in cui i soldati avevano già fatto irruzione. A mancare è stato un certo coordinamento tra i golpisti. Inoltre, l’esercito si è subito mostrato spaccato sull’eventualità di mandare avanti il tentativo di insurrezione.

Il presidente turco ha così ripreso il controllo della situazione, rientrando a Istanbul nelle prime ore del mattino del 16 luglio. Per Erdogan, a organizzare il golpe sarebbero stati membri dell’esercito fedeli alla lobby di Fetullah Gulen, filantropo e politologo un tempo alleato del presidente e poi invece diventato suo principale nemico. Dopo il golpe, il leader turco ha avviato profonde purghe all’interno sia dell’esercito che degli apparati statali. Non sono pochi coloro che, soprattutto all’estero, credono a un ruolo dello stesso Erdogan nella pianificazione del golpe. Con l’intento di giustificare, in un secondo momento, la cacciata degli avversari.

La mancanza di un chiaro sostegno interno

Qualunque sia la verità sul fallito golpe turco, quell’episodio ha dimostrato come alla base di un fallimento di un colpo di Stato c’è la mancanza di un vasto sostegno all’interno sia dell’esercito che degli apparati di sicurezza. Circostanza rintracciabile ad esempio nel fallito golpe in Venezuela del 2002, attuato da una parte dell’esercito contro l’allora presidente Hugo Chavez. Quest’ultimo, al potere da due anni, è stato spodestato per 24 ore dall’intervento dei militari appoggiati da alcuni settori dell’opposizione. Ma non tutto l’esercito era d’accordo con l’azione. E così, complici anche le proteste di piazza, il giorno dopo Chavez è potuto rientrare nel palazzo presidenziale.

Tornando al contesto africano, un caso eclatante di fallimento di un colpo di Stato per mancanza di sostegno interno è arrivato nel 2019 dal Gabon. Nel Paese recentemente salito agli onori delle cronache per il riuscito golpe contro Ali Bongo, già quattro anni fa un gruppo di militari aveva provato a prendere il potere. Approfittando dell’assenza del leader gabonese, volato in Marocco per motivi di salute, tre soldati si sono presentati in Tv dichiarando ai cittadini la destituzione di Bongo e l’avvio di una fase di transizione. Si è trattato però di un tentativo velleitario: pochi soldati hanno partecipato al golpe, gran parte dell’esercito è rimasto immobile e dei tre soldati in televisione non si è saputo più nulla.

In Sudan invece, il generale Hemeti Dagalo nello scorso aprile non è riuscito a spodestare l’ex alleato, ossia il generale e presidente Abdel Buran. Con le sue Forze di Supporto Rapido (Rsf) non è stato in grado né di sovrastare l’esercito regolare e né di far passare dalla propria parte i reparti più importanti. Il golpe può dirsi fallito, anche se da allora è in corso una guerra civile tra le due parti entrata in una pericolosa fase di stallo.

Il tentato colpo di mano di Haftar

Ci sono situazioni poi dove più che a un colpo di Stato, si assiste a una vera e propria escalation militare contro il governo centrale. Si tratta di contesti caratterizzati da guerre civili o da gravi tensioni interne. Come nel caso della Libia, rimasta senza una vera e propria architettura statale dopo la morte del rais Muammar Gheddafi nel 2011. Nel conflitto civile successivo, ad emergere tra le altre è stata la figura del generale Khalifa Haftar, ex alleato poi diventato nemico di Gheddafi in esilio dagli anni ’90 negli Usa. Con le sue milizie, da lui aggregate nel Libyan National Army, Haftar dal 2014 al 2017 è stato impegnato nella conquista e riunificazione della Cirenaica.

Due anni più tardi, nel pieno di colloqui con il governo di Tripoli guidato da Fayez Al Sarraj, l’unico tra i vari esecutivi libici riconosciuto dalla comunità internazionale, ha sferrato un attacco contro la capitale libica per prendere con la forza il potere. Con il Paese per due terzi nelle sue mani e con la percezione di un’opinione pubblica nettamente a suo favore, Haftar nell’aprile del 2019 ha lanciato le proprie truppe contro le milizie alleate di Al Sarraj. In un primo momento l’azione sembrava destinata al successo. Il generale era sicuro di vincere una guerra lampo, attuando un vero e proprio golpe contro il governo di Tripoli.

Ben presto però il colpo di Stato si è trasformato in una guerra di attrito tra le due forze in campo. Un conflitto per lungo tempo statico, risolto a favore di Al Sarraj soltanto nell’estate del 2020. Il mancato colpo di mano di Haftar può quindi essere annoverato tra i falliti golpe degli ultimi anni. A pesare nei suoi confronti è stato, ancora una volta, la mancanza di un appoggio univoco alla sua mossa. Molte milizie infatti, hanno deciso di non avallare l’azione del Libyan National Army.

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