La guerra in Ucraina diventa oggetto di dibattito anche all’interno del territorio americano. Il Washington Post, in una lunga inchiesta, ha infatti posto alcuni interrogativi sulle differenze tra la realtà e delle previsioni che si sono rivelate eccessivamente ottimiste riguardo le forze di Kiev. Nell’articolo non traspare una critica alle truppe ucraine, ma si punta soprattutto il dito sullo iato che si è creato tra le previsioni degli analisti e alcuni scenari paventati dall’amministrazione di Joe Biden. Scenari che a detta del quotidiano Usa sarebbero dettati, in pratica, più da motivazioni politiche e diplomatiche che da effettivo desiderio di spiegare puntualmente quanto accade sul campo.
Divisi tra chi non vuole mostrare le fragilità di Kiev a Mosca, chi ritiene opportuno un maggiore sostegno da parte occidentale e chi invece afferma che non esiste una perfetta coincidenza tra informazioni date dall’Ucraina e quelle in mano agli Stati Uniti, il dubbio di molti osservatori è che in questa fase della guerra, arrivata ormai a oltre 130 giorni, sia difficile valutare con la massima lucidità i fatti sul campo. E, come spiega il Wp, anche se la Russia ha drasticamente ridotto gli obiettivi manifestati a inizio della “operazione militare speciale”, molto spesso le autorità americane “sminuiscono i progressi definendoli discontinui e incrementali e sottolineano il numero significativo di vittime militari russe che ne sono derivate” senza però mostrare l’altra faccia della medaglia, comprese le “pesanti perdite” subite dagli ucraini.
Questo, come detto, può essere dovuto a diversi fattori. Tuttavia appare interessante che da Washington, e soprattutto dalle colonne di un così autorevole quotidiano particolarmente attento alle dinamiche internazionali e interne alla politica Usa, si faccia riferimento a questo conflitto intestino sulle previsioni e sulle analisi della guerra in Ucraina. Perplessità che sembrano cercare una risposta non tanto alla domanda sulla correttezza del sostegno a Kiev, mai messo in discussione all’interno dell’articolo e tantomeno dalle persone intervistate, quanto del modo di agire dell’amministrazione democratica e in generale della Difesa statunitense. Un sistema che sembra più orientato ai propri interessi politici che a quelli di una conduzione efficiente dell’agenda strategica e che porta a riflettere sui pericoli del cedere all’informazione totalmente di parte rilanciata da alcuni segmenti degli Stati coinvolti nel conflitto. Basti pensare alle parole del portavoce del Pentagono, Todd Breasseale, che sono la conferma del fatto che il Pentagono non rilascia informazioni che possano essere utilizzate dai russi per “non fare il lavoro di intelligence per loro”.
Il segnale che trapela dai commenti del quotidiano americano è la conferma non solo di un dibattito interno sugli obiettivi posti dall’amministrazione dem, ma anche perché si interroga sulle stesse tesi portate a sostegno dalle autorità per continuare nel sostegno a Kiev. Interrogativi che possono applicarsi a qualsiasi latitudine e che indicano una visione ben diversa di una guerra complessa e in cui l’elemento della propaganda non può ritenersi secondario.
Lo si vede del resto quando giungono le notizie dal campo ma anche su come vengono analizzate le scelte altrui. Impossibile trovare una lettura univoca che sia in grado di dire se Russia o Ucraina hanno ottenuto una vittoria tattica o rimediato una sconfitta, così come anche oggi appare impossibile sapere se un centro urbano sia davvero caduto nelle mani dell’invasore o se è saldamente nelle mani di chi resiste. Spesso è anche difficile comprendere le richieste di una parte e dell’altra. Altre volte, si analizzano le avanzate russe riducendone la portata oppure si pone eccessivo entusiasmo nelle controffensive ucraine. Se dall’altra parte della barricata tutto appare più semplice, essendo la Russia parte attiva della guerra e dunque evidentemente protagonista di una propaganda (o disinformazione) tesa alla vittoria finale, altro è invece quello che sta accadendo in campo americano, o al limite atlantico, dove – come sottolineano i media Usa – si rischia di piegare l’analisi degli scenari al proprio interesse, che varia a seconda del momento e in base a cosa si vuole mostrare di russi e ucraini.
Con il dubbio, che sembra essere costante, di cosa voglia davvero Washington da questo conflitto. Ignorare alcuni elementi per non fare vedere che Kiev ha bisogno di aiuto, secondo alcuni analisti vorrebbe dire che il Pentagono non vuole fare capire di non investire realmente in questa guerra. “Il Pentagono a volte nasconde informazioni che potrebbero essere poco lusinghiere per i partner ucraini o evidenziare le limitazioni del sostegno statunitense”, spiega il Washington Post citato da Agi. Altri, commenta Kori Schake dell’American Enterprise Institute, ritengono che questo serva a solleticare le autorità Usa per “aiutare l’Ucraina ad avere successo al più presto”. Ma a questo punto la denuncia che è sottintesa al tutto è molto profonda: c’è il rischio che molti scenari descritti dalla politica Usa siano finalizzati a coprire o alimentare un meccanismo mediatico e diplomatico sostanzialmente interno senza comprendere la reale portata del conflitto. E soprattutto con il dubbio che tutto questo non porti a rispondere alla domanda finale: dove può spingersi il sostegno di Biden alla causa di Kiev.