Alla fine si è verificato ciò che da mesi era nell’aria e che l’attacco di Recep Tayyip Erdogan nel nord della Siria ha accelerato: l’avvio del dialogo tra i curdi ed il governo di Damasco. Ad annunciarlo ufficialmente alla Reuters è un dirigente delle forze Ypg, le milizie di autodifesa curde: “Siamo pronti a trattare con Assad”.

La fine del Rojava

Per la verità, tramite la mediazione russa, a 48 ore dall’avvio dell’attacco turco nel nord della Siria un primo accordo tra Damasco ed i curdi si era già raggiunto ed ha permesso il riposizionamento delle truppe siriane nell’area del Rojava. Un’intesa che ha anche spianato la strada ad un altro accordo, quello tra Russia e Turchia raggiunto a Sochi martedì scorso. Accordi che, complessivamente, hanno previsto l’indietreggiamento delle forze curde dal confine con la Turchia ed il loro posizionamento ad almeno 30 chilometri dalla frontiera. Una distanza che sembra aver appagato le velleità di Erdogan, il quale dal 2012 ha sempre visto con sospetto il controllo del Rojava da parte delle forze curde, sostituitesi a quelle del governo di Assad già durante i primi mesi di guerra civile.

L’idea di un Kurdistan siriano indipendente è nato proprio grazie a questi eventi. Da Damasco si è preferito riposizionare le truppe in altre aree del Paese, in tal modo i curdi hanno avuto spazio e tempo per organizzarsi militarmente e politicamente. Le loro avanzate sono state sostenute dagli americani in funzione anti Isis. Sconfitto il califfato, Erdogan ha iniziato a far capire le proprie intenzioni e cioè far arretrare i curdi dalle zone di confine. Per questo da più parti ci si è sempre aspettato, da un momento all’altro, un accordo tra il governo siriano e i curdi. Lo stesso presidente Bashar al Assad lo aveva proposto già sul finire dell’anno passato. E ad inizio 2018 invece, quando i turchi hanno attaccato l’enclave curda di Afrin, un primo accordo tra Damasco e Ypg sembrava alla portata.

I curdi hanno preferito coltivare le proprie velleità autonomiste, ma hanno dovuto fare i conti con la realtà. Non avendo più il supporto Usa, dopo la decisione di Trump di mandare via le proprie truppe dal nord della Siria, l’unica strada percorribile era quella di accettare la mediazione russa e posizionarsi sotto l’ombrello di Damasco. Dal canto loro, le truppe dell’esercito siriano sono potute rientrare sia in città a maggioranza araba controllate dai curdi, come nel caso di Manbji, sia in quelle a maggioranza curda, come Kobane e Qamishli. Questo ha evitato l’ingresso di turchi e filo-turchi e, di conseguenza, un ennesimo eccidio della popolazione civile curda. Al tempo stesso però, ha segnato la fine del Rojava.

Ypg inglobate nelle forze siriane?

Con il senno di poi, la scelta curda di iniziare la collaborazione con Damasco è arrivata troppo tardi. Fosse stata accettata già qualche mese fa, forse si poteva parlare di autonomia curda e di Rojava come zona amministrata sul modello del Kurdistan iracheno. Ma adesso, con turchi e milizie filo-turche entrati in Siria, l’unica cosa che le Ypg hanno potuto fare è stata quella di ridare il territorio ad Assad. Il presidente siriano non è detto però che voglia l’immediato smantellamento delle Ypg. Anzi, l’esercito di Damasco è decimato e logorato da otto anni di guerra, la vittoria è sì oramai alla portata ma le coperte siriane sono sempre più corte. Controllare un territorio più ampio di quello che attualmente il governo controlla, potrebbe essere un problema. Per di più, in questi territori del Rojava occorre anche ricostituire un’amministrazione e far ripartire l’economia.

Ecco perché Assad ha ancora bisogno delle Ypg, le quali hanno governato ed amministrato per quasi un quinquennio questi territori. Da qui l’idea, spinta dal Cremlino, di far accorpare le forze curde all’interno di quelle siriane. Ed il dialogo annunciato alla Reuters da un dirigente Ypg, dovrebbe volgere proprio verso questa prospettiva: inglobare nell’esercito siriano le forze filo curde.

Il dialogo che partirà nei prossimi giorni non sarà per nulla facile, anche perché su di esso potrebbe incombere ancora una volta l’ombra di Erdogan. Da Ankara non prenderebbero bene il fatto che, a pattugliare i confini, siano soldati che portano la stessa divisa degli ex miliziani curdi.





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