“Hai visto? I curdi hanno capito che stavano per perdere tutto e hanno trovato un accordo con il governo. Non tutto è perduto”. Quando ci chiama, monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico emerito di Hassaké-Nisibi, ha quasi la voce rotta dall’emozione. Ci eravamo sentiti il giorno prima, poco dopo l’ultima avanzata turca, mentre i jihadisti prendevano a calci i corpi dei civili morti e inneggiavano allo Stato islamico e tutti temevano che Recep Tayyip Erdogan potesse avanzare indisturbato in Siria.

“È un terremoto” – ci aveva detto ieri l’arcivescovo – “tra qualche settimana nel Nord della Siria potrebbero arrivare oltre due milioni di persone. Tra queste ci sono anche le famiglie dei jihadisti legati ai Fratelli musulmani che stanno combattendo contro i curdi e che hanno già combattuto attorno a Damasco negli scorsi anni. Per i cristiani sarà la morte. Un bagno di sangue”. L’incubo, per i cristiani di Siria, è che Erdogan crei una sorta di Sultanato nel nord del Paese: “Si rischia una repubblica governata dai Fratelli musulmani”, afferma il monsignore.

Eppure ora la situazione sembra essere radicalmente cambiata. Nella serata di ieri, i curdi e il regime di Bashar al Assad hanno trovato un accordo (per ora puramente militare), grazie alla mediazione dei russi. Le truppe governative hanno già raggiunto il nord del Paese e sono entrate a Manbij, hanno circondato la vecchia “capitale” dell’Isis, Raqqa, e hanno preso il controllo della città di Tel Amer, nel nord della Siria nordorientale.

Per otto anni, il governo e le Forze democratiche siriane si sono trovati sui lati opposti della barricata. I cristiani che vivevano sotto il dominio curdo non hanno avuto vita facile, come ci racconta monsignor Hindo: “Con loro discutevo sempre, volevano mettere a rischio le generazioni future pur di creare uno Stato autonomo. Nel 2015 un cecchino curdo ha sparato a 30 centimetri dalla mia testa e sai perché? Era un’intimidazione. Volevano dirmi che dovevo stare zitto”. Tra il governo e i curdi le differenze sono ancora molte: “I curdi vogliono una regione autonoma, come in Iraq, ma Assad vuole un Paese unito, seppure nella diversità. A Sochi – prosegue monsignor Hindo – ho chiesto di non usare la parola ‘minoranza’ perché siamo tutti cittadini siriani. I partiti possono essere maggioranza o minoranza. Ma non i siriani. Che sono tutti cittadini dello stesso Stato”.

Secondo monsignor Hindo, i turchi rimarranno nei territori che già controllano, ma non oseranno spingersi là dove sono presenti i soldati governativi. L’unica alternativa possibile, almeno per il momento, se si vuole evitare una nuova escalation di violenza.