C’è un intreccio, nel già di per sé intricato quadro libico, che con il passare dei mesi sembra essere il perno attorno cui ruota la crisi che coinvolge il paese nordafricano. Ossia il fatto che, da un lato, Haftar controlla buona parte dei territori ma non ha in mano il portafoglio mentre, dall’altro lato, il premier Al Sarraj controlla il portafoglio ma ha a malapena il controllo dei corridoi attorno la sua stanza nel palazzo presidenziale. Ed è su questo intreccio che si sta giocando il futuro della Libia.

La “cassaforte” di Tripoli il vero obiettivo

Come si sa, l’economia libica ruota fortemente attorno alle esportazioni di petrolio. Un compito che in Libia spetta alla Noc (National Oil Company), la quale opera con diverse joint venture assieme a partner stranieri nei vari giacimenti sparsi per il paese. Il petrolio libico è molto ambito, seppur la produzione anche in tempo di pace era quantitativamente inferiore a quella di altri paesi dell’area. Tuttavia, il greggio prodotto in Libia ha una qualità che da altre parti non viene riscontrata: risulta, in primis, facile da importare vista la vicinanza del paese all’Europa ma, soprattutto, possiede degli elementi tali da renderlo quasi raffinato. E dunque, una volta importato, può quasi subito essere utilizzato. Il “successo” dell’oro nero libico lo si spiega così, con la produzione che negli anni post gheddafiani si è comunque mantenuta a livelli discreti eccezion fatta per alcune annate.

Se l’industria estrattiva, nonostante tutto, è ancora in piedi lo si deve al fatto che la Noc è stato l’unico ente libico a non essere spacchettato e diviso tra tribù e fazioni varie. Per tal motivo, la società ha continuato ad avere la sua sede a Tripoli ed ha sempre reso conto ai vari governi insediati nella capitale. Anche perché la Noc non ha una propria autonomia: i suoi proventi li gira alla banca centrale libica ed alle istituzioni libiche. Dunque, anche se si controllano materialmente i pozzi, i proventi delle estrazioni vanno a Tripoli e, di conseguenza, al governo di Fayez Al Sarraj. La “cassaforte” nonostante tutto si trova ancora a Tripoli e questo per il generale Haftar è un problema.

Con il suo esercito controlla sì buona parte della Libia, ma non riceve fondi dalla banca centrale. Tanto che in Cirenaica ne hanno dovuta “clonare” una autonoma, con sede ad Al Beyda, che risponde al governo non ufficiale insediato nell’est del paese. Ed il dinaro che circola in queste regioni viene stampato, tra le altre cose, in Russia. Spesso in Cirenaica sono emersi negli ultimi mesi problemi di liquidità, in quanto dal forziere tripolino escono ben pochi soldi. Quando Haftar ha attaccato Tripoli ad aprile, lo ha fatto proprio con l’obiettivo di arrivare alla cassaforte dove arrivano i soldi del petrolio. Ed è quello il vero obiettivo di tutti: Al Sarraj sta cercando di mantenerlo nelle mani del suo governo, Haftar di conquistarlo. Dietro, Turchia e Russia provano a mediare al posto della moribonda Europa.

Haftar potrebbe vendere petrolio autonomamente?

In una Libia dove solo la Noc costituisce l’unico ente ancora unitario, un’eventuale frantumazione costituirebbe un ulteriore disastro. E questa prospettiva appare ben evidente, non del tutto scongiurata. Così come fatto notare da un articolo di Cristiana Mangani su IlMessaggero, dietro il rifiuto di Haftar del cessate il fuoco formulato da Turchia e Russia, ci sarebbero proprio le mire del generale a vendere autonomamente il petrolio. Una circostanza questa che risolverebbe i problemi di liquidità nei territori da lui controllati e darebbe respiro all’economia. Ma che, nel frattempo, metterebbe in allarme tutti gli attori internazionali impegnati in Libia, compresi gli alleati del generale. Un primo tentativo in tal senso è stato riscontrato nello scorso mese di novembre, quando la Brega Petroleum Marketing Company, società con sede in Cirenaica controllata dalla Noc, ha nominato un consiglio di amministrazione parallelo.

Quell’azione è stata condannata dalla stessa Noc, così come anche da molti governi, dagli Usa agli Emirati, dalla stessa Italia alla Francia. Haftar però adesso potrebbe alzare il tiro. Il suo rifiuto di far tacere le armi sarebbe un segnale, volto a far capire come la sua iniziativa potrebbe andare avanti fino a quando o non metterà direttamente piede a Tripoli oppure non avrà fonti proprie di entrata da cui attingere. E sarà su questo nodo che si muoverà buona parte della crisi libica nei prossimi mesi.