Se fino a poco prima delle midterm americane il supporto militare all’Ucraina da parte occidentale sembrava essere a rischio, gli ultimi giorni ci restituiscono il racconto di una poderosa sterzata. Complice il mezzo miracolo alle elezioni negli Usa, gli assegni in bianco a Kiev da parte di zio Sam non si sono fermati: agli inizi di dicembre, Joe Biden ha autorizzato nuovi aiuti militari per 275 milioni di dollari offrendo nuovi sistemi d’arma per sconfiggere i droni e rafforzare le difese aeree. Un pacchetto che includeva include anche gli Himars, 80 mila colpi di artiglieria da 155 mm, veicoli militari Humvee e circa 150 generatori, secondo il promemoria fornito dalla Casa Bianca. La mossa aveva anticipato di appena due settimane la visita lampo di Volodymyr Zelensky a Washington, che aveva ricostruito iconograficamente il sostegno americano alla causa ucraina.

Nessuno, a dicembre, avrebbe immaginato che i primi giorni del 2023 avrebbero battezzato un’ulteriore spesa americana per sostenere la difesa di Kiev. Il 6 gennaio l’amministrazione Biden ha annunciato il suo più grande esborso all’Ucraina finora: 2,85 miliardi di dollari, parte di oltre 3 miliardi di dollari di nuova assistenza militare. La mossa includeva veicoli da combattimento, sistemi di artiglieria, veicoli corazzati, missili terra-aria, munizioni, proprio mentre la Camera si apprestava a vivere la bagarre legata all’elezione travagliata di Kevin McCarthy come speaker.

Questo non significa che la frangia dei “frugali” americani si sia arresa nel chiedere un approccio più tiepido e spese più morigerate. Senza dubbio, gli avvenimenti sul campo sono stati un’iniezione di fiducia per chi credeva Zelensky ormai spacciato, controffensiva di Kharkiv in primis. Adesso, però, la reconquista ucraina sembra bloccata e le voci che giungono da Soledar fanno temere che la porta per Bakhmut sarebbe spalancata. Tuttavia, questi invii generosi di mezzi corazzati tradiscono una fiducia nelle forze sul campo che potrebbero, se non ora, ma a primavera, essere protagoniste della controffensiva finale che potrebbe mettere in ginocchio Mosca, fiaccata dal lungo inverno.

Le reazione ucraina: “Siamo di fatto nella Nato”

Della ritrovata generosità occidentale si stupisce e si compiace innanzitutto l’establishment ucraino: “L’Ucraina è diventata un membro de facto dell’alleanza Nato”, ha affermato il ministro della Difesa, mentre i Paesi occidentali, una volta preoccupati che l’assistenza militare potesse essere vista come un’escalation da parte della Russia, cambiano il loro approccio.

In un’intervista alla Bbc, Oleksii Reznikov ha affermato di essere sicuro che l’Ucraina riceverà armi a lungo cercate, inclusi carri armati e aerei da combattimento, poiché sia ​​l’Ucraina che la Russia sembrano prepararsi a nuove offensive in primavera. “Questa preoccupazione per il prossimo livello di escalation, per me, è una sorta di protocollo”, ha detto Reznikov. “L’Ucraina come Paese e le forze armate dell’Ucraina sono diventate [un] membro della Nato. De facto, non de jure. Perché abbiamo armi e la sappiamo come usarle”.

Reznikov ha parlato il giorno dopo che il ministero della Difesa russo ha sostituito il comandante delle sue forze in Ucraina, un annuncio a sorpresa che è stato visto come un segno di una lotta intestina. Il cambiamento, secondo Reznikov, è stato il risultato del “conflitto tra Prigozhin e le forze armate della Federazione Russa”, scoperchiando la dolorosa verità: i russi avrebbero finito i missili. Sarebbe dunque questo il momento per contrattaccare.

E la Nato, dal canto suo, non ha smentito queste sensazioni. “L’Ucraina può aspettarsi presto altri invii di armi pesanti dai Paesi occidentali”: lo ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in un’intervista ai media tedeschi. “I recenti impegni per attrezzature da guerra pesanti sono importanti – e mi aspetto di più nel prossimo futuro”, ha detto Stoltenberg al quotidiano Handelsblatt prima di un incontro del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, che coordina le forniture di armi a Kiev, presso la Ramstein Air Base in Germania.

La battaglia europea all’ultimo carro armato

Ma è l’atteggiamento europeo a stupire di più. Dal cerchiobottismo su chi dovesse andar prima a Kiev, passando per un raffreddamento dell’afflato continentale ucraine, l’Europa a più voci ancora una volta non brilla per coerenza. O quantomeno per uniformità. Così, nelle ultime settimane, anche nel vecchio continente è cresciuta la febbre da veicolo corazzato. E questo la dice lunga sulla rinnovata fiducia che anche l’Europa, al di là delle mosse specchio rispetto agli Usa, ripone nelle capacità di Kiev.

La risposta dell’alleanza occidentale all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha ricevuto una sterzata vigorosa questa settimana, poiché più nazioni europee hanno risposto per la prima volta agli appelli di questi mesi del presidente Zelensky di fornire moderni carri armati al Paese. Francia, Polonia e Regno Unito si sono impegnati a inviare presto carri armati affinché l’esercito ucraino li utilizzi nei suoi sforzi per proteggersi dalla Russia. La Finlandia sta valutando di seguirne l’esempio.

La Gran Bretagna prevede di inviare una dozzina di carri armati Challenger 2 e inoltre sistemi di artiglieria come parte degli sforzi per “intensificare” il sostegno all’Ucraina, ha affermato Downing Street. Zelensky ha ringraziato il primo ministro Rishi Sunak “per le decisioni che non solo ci rafforzeranno sul campo di battaglia, ma invieranno anche il segnale giusto ad altri partner” dopo che i due leader si sono parlati telefonicamente sabato. Parlando al fianco di Zelensky nella città ucraina di Lviv mercoledì, il presidente polacco Andrzej Duda ha affermato di sperare che i carri armati di una serie di alleati occidentali “presto navigheranno attraverso varie rotte verso l’Ucraina e saranno in grado di rafforzare la difesa dell’Ucraina”. Le mosse hanno accumulato pressioni sulla Germania, che la scorsa settimana ha dichiarato che avrebbe trasferito veicoli da combattimento di fanteria a Kiev, ma stenta ancora a impegnarsi sui carri armati. Il cancelliere Olaf Scholz ha insistito sul fatto che qualsiasi piano del genere dovrebbe essere pienamente coordinato con l’intera alleanza occidentale, compresi gli Stati Uniti.

Un carro armato britannico di tipo Challenger 2. Foto: EPA/ANSA.

Ecco dunque riproporsi le tradizionali acredini Francia-Germania e Germania-Polonia. La grandeur macroniana ha scelto, infatti, di battere tutti sul tempo, annunciando l’invio di carri armati Amx-10Rc poco prima del comunicato di Washington e Berlino sull’invio concordato di circa 40 mezzi per la fanteria meccanizzata Marder e su una batteria di missili terra-aria Patriot.

La vicenda dei Leopard 2

Quasi a rispondergli sullo scacchiere degli aiuti, il vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, che ha dichiarato di non scartare a priori l’ipotesi dell’invio di carri armati Leopard 2 in dotazione alla Bundeswehr: circa 60 tonnellate, dotati di un cannone da 120 millimetri e di un sistema di difesa e armatura all’avanguardia. Berlino, tuttavia, deve calmierare il supporto a Kiev con la propria storia e con le esigenze pacifiste che provengono dalle componenti Verdi e progressiste, contrarie a un riarmo ucraino tout court.

La Francia e la Polonia stanno spingendo la più grande economia dell’Unione a dotare Kiev del suo potente carro armato. Chiunque consegni all’Ucraina ciò di cui ha bisogno prima che lo faccia la Germania, renderà più difficile per Berlino nascondersi dietro la sua attuale argomentazione secondo cui non vuole agire da sola inviando armi pesanti. La fornitura di moderni carri armati occidentali come il Leopard 2 sarebbe un grande impulso per l’esercito ucraino, poiché finora gli alleati di Kiev sono stati disposti a inviare solo vecchi carri armati dell’era sovietica che erano ancora nelle scorte dei paesi dell’Europa orientale, così come altri sistemi d’arma come obici e difese aeree.

Germania, Spagna, Polonia, Grecia, Danimarca e Finlandia sono tra i numerosi Paesi che già utilizzano il Leopard 2. Ciò consentirebbe agli alleati di organizzare congiuntamente la consegna dei carri armati e delle munizioni necessarie e di collaborare per la manutenzione e la riparazione necessarie. Tuttavia, poiché i Leopard sono prodotti dalla società Krauss-Maffei Wegmann con sede a Monaco, la loro consegna in Ucraina richiede un’autorizzazione di riesportazione da parte del Paese di origine-la Germania-il che significa che la pressione internazionale si sta tutta concentrando su Berlino.

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