Il presidente ucraino Volodomyr Zelensky l’ha invocata anche ieri, in collegamento con la manifestazione Eurocities a Firenze: “L’Europa non ci dimentichi, ora faccia una no-fly zone“. Un’opzione che tanti chiedono – si pensi alla manifestazione di ieri a Downing Street, che ha visto sfilare centinaia di persone – ma che non è praticabile in quanto rappresenterebbe l’inizio di un conflitto aperto tra Nato e Russia. Un conflitto che, ad oggi, nessuno vuole. Anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è stato chiaro in proposito, ufficializzando la posizione del governo su questo tema: “L’Italia continuerà ad opporsi ad una no fly zone perché significherebbe scatenare la Terza guerra mondiale. Non verrà mai un incremento dell’escalation da noi”.
In un lungo articolo sul Fatto Quotidiano di oggi, il generale Fabio Mini ha ripercorso le più importanti no-fly zone imposte negli ultimi anni. Da “Northern Watch”, del 1991 in Iraq, fino a Sky Monitor, in Bosnia Erzegovina (1993) e a quella in Libia (2011). Imporla oggi alla Russia, però, è impossibile in quanto “l’interdizione al sorvolo non coinvolgerebbe le grandi potenze contro un avversario insignificante, ma contro un’altra superpotenza”. Mini si spinge poi oltre spiegando che “se fosse adottata dalla Nato o da singoli Paesi fregandosene dell’Onu, cosa già accaduta, si troverebbero a dover combattere contro la Russia, con conseguenze facilmente immaginabili”. Ma non solo: “La no-fly zone potrebbe essere dichiarata dalla Russia stessa che dai cieli di Kaliningrad e della Bielorussia fino alla Crimea, passando per l’Ucraina, ha volontà e interessi di sicurezza nazionale tali da non permettere il sorvolo a nessun altro velivolo anche soltanto potenzialmente ostile”.
Il generale Giorgio Battisti, contattato da InsideOver, ha spiegato: “Una no-fly zone si può anche fare, ma poi bisogna farla rispettare: si deve abbattere tutto ciò che vola e che porta una bandiera russa, ma questo significherebbe entrare in guerra con Mosca, che non può accettare una reazione simile”. Qualche giorno fa, inoltre, i russi hanno annunciato che considereranno nemici anche i convogli di mezzi che porteranno armi all’Ucraina e, come tali verranno considerati potenziali bersagli. “Per fare rispettare la no-fly zone”, prosegue il generale, “oltre ad abbattere gli aerei, bisognerebbe colpire tutte le basi aeree russe in Ucraina, Russia e Bielorussia e neutralizzare anche la difesa contraerea di Mosca. Sarebbe guerra aperta”. Eppure Zelensky continua a richiederla. Il motivo, per Battisti, è semplice: “Vuole coinvolgere direttamente la Nato nel conflitto. Ma se non vogliamo entrare in guerra con la Russia – come Biden e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, hanno affermato – bisogna continuare a rifornire di armi le forze armate ucraine”. Ma con meno clamore rispetto a quanto fatto fino ad ora: “Questi rifornimenti di armi non li avrei enfatizzati”, prosegue Battisti, “li avrei dati senza troppo clamore, come gli Stinger ai mujaheddin afghani. Così si rischia di far sembrare l’invio di armi una sorta di pubblicità che irrita la Russia e un messaggio più rivolto verso la nostra società che verso l’esterno”. Per uscire da questa crisi è dunque necessario “organizzare una conferenza internazionale a premessa del cessate il fuoco, come è stato fatto (con scarsi risultati) in Afghanistan e Vietnam. Se non vogliamo entrare in guerra non ci sono altre possibilità”.
Il generale Vincenzo Camporini, oggi responsabile sicurezza e difesa di Azione, spiega a InsideOver che “una no-fly zone implica il vietare a un altro Paese di utilizzare uno spazio aereo. Nel caso in cui un aereo russo volasse, si dovrebbe intervenire con dei caccia per cercare di farlo andar via e, nel caso in cui ciò non avvenga, abbatterlo. Una no-fly zone comporta una attività militare diretta contro un opponente che, in questa circostanza, non è possibile. Quello che stiamo facendo attualmente è il massimo (e la cosa più giusta) da fare: mettere a disposizione sistemi che possono essere utilizzati dai soldati ucraini per attività difensive, missili anticarro Javelin, Spike o Stinger. Sistemi maneggevoli, spalleggiabili, che pesano 25/27 chili e possono essere usati da squadre piccole, di 2 o 3 uomini, che possono mettere in difficoltà mezzi blindati e corazzati. Sono passi graduali e c’è la convinzione generale che questo passo non costituisca un’escalation, ma evidenzia la nostra solidarietà a un Paese aggredito. Nessuno ritiene che l’invio di queste armi possa rappresentare un elemento per avviare una vera e propria escalation”.